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tecnologia

Crescono (lentamente) le startup al Sud e gli investimenti restano limitati

In quattro anni quasi raddoppiati gli investimenti
Aumentano di numero e dimensioni, ma la portata di investimento resta ancora limitata. La fotografia delle startup innovative che si annidano nel Sud-Italia presenta luci e ombre. A metà 2017 quelle iscritte nel registro delle imprese hanno superato per la prima volta la soglia delle settemila realtà, attestandosi a 7.394 unità con un +7,5% sul primo trimestre e con un capitale sociale dichiarato di oltre 373 milioni di euro (+6,88%). Il rafforzamento dimensionale è sugli addetti, che sfondano quota 30mila tra i soci fondatori. Anche se – ed è questo uno degli elementi di criticità – il dato complessivo nel Sud si ferma a 1790 realtà. È quanto emerge dal rapporto trimestrale del Ministero dello Sviluppo Economico e InfoCamere.
Nel Mezzogiorno cresce in termini assoluti la quota di investimento, ma si registra una mancanza di omogeneità e una difficoltà a fare sistema tra i vari attori, pubblici e privati. A rilevarlo è l’osservatorio startup hi-tech del Politecnico di Milano sulle realtà effettivamente finanziate da investitori formali. Il trend è in crescita, nonostante l’assottigliamento del 2014: in quattro anni si è passati dai 16,2 milioni di euro del 2012 (corrispondenti al 21% del totale italiano) ai 27,4 milioni di euro del 2015 (36%).
La prima regione del Mezzogiorno in classifica per numero di startup innovative è la Campania con il 7,4%. Ma solo in quinta posizione, preceduta da Lombardia, Emilia-Romagna, Lazio e Veneto. Ma c’è di più. La compagine delle imprenditrici continua a crescere soprattutto al Sud, con oltre 474mila unità e il 36% sul dato nazionale. Il tasso di imprenditorialità al femminile raggiunge il 24% con circa due punti percentuali in più del dato medio nazionale (21,75%). Peraltro nelle prime dieci posizioni della graduatoria delle imprese in rosa il Mezzogiorno è presente con ben 7 regioni.
In questa corsa ad ostacoli per le neo-imprese le isole maggiori hanno la meglio tra le startup del Sud, monopolizzando i principali round di investimento. A Cagliari si distingue MoneyFarm, leader nella gestione patrimoniale online e con sede a Londra, protagonista di un round da 23 milioni di euro nel 2015. L’azienda ha 300 milioni di euro di capitale e ha raddoppiato le masse gestite nei primi sei mesi del 2017. Della sua compagine societaria fanno Cabot Square Capital, United Ventures, Gruppo Allianz e Vittorio Terzi. Tra Palermo e Londra ha sede Mosaicoon, capitanata da Ugo Parodi Giusino e premiata lo scorso anno come “miglior impresa innovativa in Europa” agli International Business Awards. Questa scale up tutta siciliana – l’headquarter è sul mare, nella splendida Isola delle femmine – grazie allo “sharing entertainment” e ai video virali online ha ottenuto un round da 8 milioni di euro. E ha deciso di rafforzare la presenza internazionale. Dalla Sardegna nasce Sardex, circuito di credito commerciale al centro di un round da 3 milioni di euro guidato da Innogest, Invitalia Ventures e Banca Sella Holding, insieme a Fondazione di Sardegna. Un’idea che ha scalato i confini nazionali, arrivando ad essere raccontata anche sulle colonne del Financial Times con il “Sardex Factor”. Oggi quasi tutta Italia è coperta da circuiti locali, spinoff di Sardex.net. Nello scorso anno tutti insieme hanno transato quasi 15 milioni di crediti e il network nazionale ha superato gli 8900 iscritti.
«Gli attori economici nel Sud non crescono alla velocità necessaria perché ancora oggi c’è un ecosistema sfavorevole legato al capitale umano, al trasferimento tecnologico, alle infrastrutture. E si registra anche una carenza di acceleratori», afferma Antonio Perdichizzi, vice-presidente di Italia Startup, associazione che coinvolge oltre duemila attori tra startup, aziende, fondi. Secondo Perdichizzi occorre puntare su politiche regionali a supporto, anche nell’ambito delle azioni di programmazione. «Bisogna fare sinergia tra politica e finanza, anche pubblica. Occorre intervenire mettendo a fattore comune le buone pratiche che esistono e che ancora oggi non fanno massa critica». La chiave è la formazione, che dovrebbe fare sistema con le imprese per la creazione di poli di aggregazione di eccellenza. «Penso a Bari, Catania, Napoli, realtà che potrebbero diventare hub di innovazione. Si dovrebbero aprire percorsi di contaminazione tra startup e comparto industriale tradizionale. È questa la chiave per accelerare l’innovazione».