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Startup da record per il fitness tech ma l’Europa conta poco

Creano applicazioni per l’allenamento, device indossabili, servizi per digitalizzare l’industria fitness. E il loro valore, dal 2013 a oggi, è pari a 2,4 miliardi di dollari di finanziamenti. Sono le startup fitness tech censite nell’ultimo report di Cb Insight. Una schiera di nuove imprese che nel corso degli ultimi 5 anni hanno contribuito a rivoluzionare l’industria del fitness attraverso software e tecnologie digitali. In totale, secondo la ricerca, queste startup hanno dato vita a circa 696 deal. E il 2017, con oltre 585 milioni di dollari di investimenti e 103 operazioni (dato aggiornato ad agosto), sembra essere già un anno record. Una cifra a cui hanno contribuito per la maggior parte (64%) le aziende Usa, ma non sono mancate operazioni anche in Asia e in Europa. I Paesi al di fuori degli Stati Uniti rappresentano, infatti, il 35% della quota globale di nuove imprese nel settore fitness tech ma, garantiscono gli esperti, si tratta di un mercato destinato a crescere. Sia le startup più mature, sia gli investitori sono, infatti, interessati a esportare i loro servizi in nuovi mercati. Un esempio? L’India che con il 7% dei deal si piazza al secondo posto dopo gli Stati Uniti. Seguono il Canada (5%), la Gran Bretagna e la Cina (entrambe con il 3% delle operazioni), e infine la Germania con il 2% dei deal. È qui infatti che ha sede eGym: la startup protagonista del più grande deal al di fuori degli Usa. L’impresa che produce equipaggiamenti da palestra connessi tramite cloud, ha raccolto infatti 60 milioni di dollari.
Se si guarda invece a tutta l’Europa, si scopre che pesa quasi il 15% dei deal totali nel settore fitness. Oltre alla Germania e all’Inghilterra, anche Svezia e Olanda sono attive in questo comparto e pesano, rispettivamente, per il 12% e il 9% sul totale dei deal europei. È svedese, infatti, Lifesum: un’applicazione per migliorare lo stile di vita che ha raccolto 16,7 milioni di dollari di finanziamenti. Mentre ad Amsterdam ha sede VirtuaGym: l’app che permette di tracciare sia l’allenamento che il regime nutritivo, e che è stata capace di attrarre 3,5 milioni di dollari di investimenti.
Mancano invece nella classifica di Cb Insight altri Paesi europei tra cui l’Italia. «Un vero peccato perché si tratta di un mercato con un grande potenziale e soprattutto molto scalabile» commenta Stefano Tambornini, direttore di Wylab, il primo incubatore italiano dedicato alle startup del settore sport tech. «Anche in Italia nascono e crescono startup di fitness tech. Ma molti altri Paesi, primi fra tutti gli Usa, si sono lanciati in questo mercato molto prima di noi con ottimi esiti» sottolinea Tambornini. Il risultato è che piccole imprese italiane si trovano oggi a competere sullo stesso mercato in cui si muovono veri colossi come Runtastic (acquistata da Adidas nel 2015 per 220 milioni di euro). Una consapevolezza che ha spinto molte startup italiane a puntare su app e strumenti che, più che progettare nuovi prodotti, puntano a digitalizzare l’industria del fitness e a creare partnership con operatori fisici come palestre e personal trainer. Si rivolge proprio a loro, per esempio, We Fit, startup di Wylab vincitrice del premio Marzotto 2017. «Si tratta di un’app che aiuta i trainer a entrare in contatto con i clienti e gestire la propria attività» spiega Tambornini. Punta, invece, sulle strutture sportive Sportclubby, altra startup di Wylab, che si propone di creare una community tra centri sportivi e atleti. C’è poi Fitprime, startup che fa capo a LVenture Group e che permette ai propri utenti di averte accesso a oltre 288 palestre con un solo abbonamento. Rappresentano, al contrario, quasi un unicum nel panorama italiano Beast Technologies e Xmetrics: due startup di dispositivi indossabili. La prima ha creato un braccialetto fitness per il sollevamento pesi utilizzato anche dai preparatori atletici della Nazionale italiana di calcio e da quella di sci. Xmetrics invece si rivolge ai nuotatori per i quali ha progettato un misuratore di performance su cui l’incubatore londinese Breed Reply ha investito quasi 1 milione di euro.