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Edutech, le startup dell’educazione e della didattica varranno 3 miliardi nel 2017

Nel 2012 Andrew Ng e Daphne Koller, entrambi in cattedra a Stanford, decidono di dare vita a una piattaforma di lezioni online. La chiameranno Coursera e oggi, in meno di cinque anni, si è trasformata in una comunità mondiale con 150 partner universitari, più di 2mila corsi e una raccolta di finanziamenti da 210 milioni di dollari.
I numeri fanno effetto, ma si parla comunque di una startup nel circuito dell’edutech: l’insieme di soluzioni che rinnovano i metodi didattici esistenti con l’apporto delle tecnologie. Un’etichetta che ricomprende al suo interno portali di contenuti accademici come la stessa Coursera o Udacity, videogiochi educativi, software che monitorano i progressi degli studenti e una lunga serie di servizi complementari, come le traduzioni automatiche (si pensi a Grammarly) e le app che fanno da «assistenti alla carriera».
Il fenomeno è cresciuto fino ad attirare gli appetiti dei fondi venture capital e di investitori celebri come Mark Zuckerberg o Jeff Bezos, due tra i nomi che compaiono dietro alcuni dei round più corposi messi a segno.
Il mercato ha conosciuto il suo apice nel 2015 con una raccolta di 3,4 miliardi di dollari e oltre 500 accordi, per flettersi nel 2016 (“solo” 2,3 miliardi) e tornare alla ribalta quest’anno. Secondo i dati della società di ricerca statunitense Cb Insights, il primo semestre 2017 si è chiuso con una raccolta di 1,2 miliardi di dollari e 219 accordi, ritmo che consentirebbe di raggiungere un tetto di 2,9 miliardi e 506 deal entro la fine dell’anno.
A fare da leva, oltre alla stessa Coursera, sono mega-round come i 190 milioni di dollari ottenuti in un Series D da EverFi (un network di educazione online finanziato anche dal numero uno di Amazon Jeff Bezos) o i 100 milioni di dollari nelle casse della cinese Xuebajun, una app che permette agli studenti di fare domande e ricevere risposte in tempo reale da insegnanti. In carne ed ossa o sotto forma di chatbot, gli assistenti digitali che attirano investimenti miliardari anche da gruppi come Microsoft o Alphabet.
Massimiliano Ventimiglia segue il fenomeno in veste di ceo della divisione Education di H-Farm, l’acceleratore di startup di Roncade (Treviso) che ha spostato negli anni il suo core business dell’incubazione di imprese a servizi di consulenza e – appunto – formazione. Secondo la sua esperienza, bisogna guardarsi bene dal pensare che i finanziamenti premino il «valore formativo» delle soluzioni brevettate.
«I fondi venture capital guardano sempre e solo il ritorno finanziario, anche se si parla di imprese “creative” – dice – I fattori controllati sono sempre unicità del modello, margini interessanti e possibilità di scalare il modello. Ovvio che i grandi round finiscano su startup che propongono chatbot e app». L’offerta, comunque, è in crescita e arriva soprattutto da paesi con bacini di utenza enormi come gli Stati Uniti (protagonisti del 58% dei deal registrati), India (7,8%) e Cina (7%). Tra le tecnologie con più futuro nella didattica ci potrebbero essere realtà virtuale, realtà aumentata e intelligenza artificiale. «Si sta guardando con curiosità al mondo delle virtual reality perché potrebbe avere potenzialità infinite – spiega Ventimiglia – Pensiamo solo alla possibilità di fare esperienze “immersive” quando si studia qualcosa o di realizzare oggetti tridimensionali. Il problema sono i costi, perché i device appositi sono pochi».
Anche in Italia le tecnologie educative hanno stimolato la fantasia degli startupper, con tanto di hackathon dedicate e diverse iniziative per «rinnovare la didattica» dal basso. Un po’ meno quella degli investitori, visto che i finanziamenti restano modesti anche per casi di successo come quello del network di sviluppatori Codemotion (1,5 milioni di euro, si legga l’articolo sotto). Secondo Ventimiglia, il gap dipende soprattutto da fattori culturali: l’insegnamento della scuola italiana si regge su metodi e rapporti che hanno poco a che spartire con la didattica degli istituti esteri, soprattutto negli States. Anche se nulla esclude che si possa creare una via italiana all’edutech: «In Italia abbiamo un sistema di formazione d’eccellenza – dice Ventimiglia – Anche se forse non si è fatto molto per rinnovare la didattica. Non mi aspetto rivoluzioni imprenditoriali sul metodo, ma contenuti originali».
startup@ilsole24ore.com