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cronaca

Suicidi, la buona notizia è che la mortalità cala dal 1990 ma non ovunque

La buona notizia che emerge dal Global Burden of Disease raccontato su BMJ è che a livello globale i tassi standardizzati di suicidi sono diminuiti costantemente di quasi un terzo dal 1990 a oggi, in linea con la riduzione del tasso generico di mortalità (-30,6%). L’Organizzazione mondiale della sanità segnala ogni anno circa 800.000 suicidi a livello globale – 817.000 nel 2016 – cioè l’1,49% di tutti i decessi di quell’anno. Si tratta di 11 suicidi riusciti ogni 100 mila persone nel 2016 a partire dai 16,6 per 100 mila del 1990.
Ci sono tuttavia anche due notizie meno buone: la prima è che il gap di genere è ancora elevatissimo. Gli uomini si suicidano molto più delle donne, e in ventisei anni fra i maschi i suicidi sono diminuiti della metà rispetto a quanto è avvenuto fra le donne: un -23% dal 1990 contro un -49%. La seconda che questa diminuzione dei suicidi non è avvenuta dappertutto. Sono molti i paesi, e si tratta di paesi poveri, dove il tasso di suicidi è cresciuto.
Il suicidio è ancora fra le prime dieci cause di morte in cinque delle ventuno regioni individuate dal GBD: al quarto posto fra le cause di morte in Europa orientale, al sesto in Asia e al decimo posto in Europa centrale e nel Nord America.
Il più alto tasso di mortalità standardizzato per età regionale nel 2016 è stato stimato in Europa orientale con 27 decessi su 100 mila abitanti, seguito da quello dai paesi ad alto reddito Asiatici (18,7 decessi per 100 mila persone) e da quello dell’Africa sub-sahariana (16,3 decessi). Le differenze nazionali sono in certi casi enormi. I tassi più alti si sono registrati in Lesotho (39,0 morti per 100 mila persone), in Lituania (31,0) in Russia (30,6 per 100 mila) e in Zimbabwe (27,8 per 100 mila).
Il suicidio è inoltre la principale causa di anni di vita persi nei paesi ad alto reddito asiatici ed è tra le prime 10 cause di anni di vita persi in Europa orientale, Europa centrale, Europa occidentale, Asia centrale, Australasia, America meridionale e Nord America. In particolare risulta essere la terza causa di morte nell’Europa orientale e in Australasia; la quarta nei paesi dell’Europa centrale, in Europa occidentale e in Nord America ad alto reddito; al sesto posto nell’America Latina meridionale e all’ottavo posto in Asia centrale. La percentuale standardizzata di anni di vita persi per suicidio è stata stimata a 458,4 per 100 mila abitanti nel 2016, pari al 2,18% degli anni totali di vita persi nel mondo. Ciò ha rappresentato un calo del 34,2% dal 1990, quando l’età standardizzata degli anni di perdita di vita era 696,6 ogni 100 mila persone. La zona che ha registrato i tassi maggiori di anni di vita persi è come ancora una volta l’Europa orientale (1200,3 anni di vita persi per 100 000 persone), seguita dai paesi asiatici ad alto reddito (742 anni persi su 100 mila) e dall’Africa sub-sahariana meridionale (664,1 anni).
Nel complesso non possiamo dunque cantare vittoria: il declino del tasso di suicidi non è stato universale, anzi è addirittura aumentato in America centrale (+14,6%) nei paesi ad alto reddito Asiatici (+10,1%) in Africa occidentale sub-sahariana (+4,3%) e in Europa orientale (1,4%). La privatizzazione post-comunista e la crisi economica russa del 1998 per esempio sono state seguite da elevati aumenti della mortalità suicida nell’Europa orientale, in contrasto con un modello generale di diminuzione dei tassi di mortalità su scala globale. Le maggiori diminuzioni statisticamente significative si sono verificate in Cina (-64,1%), in Danimarca (-60,0%), nelle Filippine (-58,3%) a Singapore (-50,6%) e in Svizzera (-50,3%). Al tempo stesso il tasso di mortalità standardizzato per età da suicidio è aumentato prevalentemente in Zimbabwe (96,2%), in Giamaica (70,9%), in Paraguay (70,4%), in Zambia (61,6%) e in Belize (52,2%)