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cronaca

Malattie infettive: in Africa oltre duemila morti in sei mesi. Le epidemie che uccidono

Secondo quanto risulta all’Organizzazione Mondiale della Sanità, solo nei primi 6 mesi del 2018 in Africa subsahariana sono morte 2516 persone a causa di malattie infettive che facilmente si potrebbero evitare: 1355 sono stati i morti per colera, 312 quelli per morbillo, 238 i decessi per un’epidemia di peste in Madagascar, 209 quelli per listeriosi, 150 quelli per febbre di lassa, 47 per febbre gialla, 45 per il vaiolo delle scimmie, 39 per epatite E, 29 i morti per ebola, 20 per rift valley fever, 18 per diarrea acuta, 16 invece i decessi per rabbia, 9 quelli per dengue, 4 quelli per meningococco e 2, infine, le morti per malaria.

I numeri sui casi di persone che si sono ammalate però sono molto più alte, un dato che rappresenta relativamente una buona notizia, stando a significare che la maggior parte delle infezioni viene curata. E in ogni caso la metà delle epidemie ha contato più di 100 casi. In 5 casi sono state colpite più di 10 mila persone.

Non a caso la maggioranza dei focolai viene classificata dall’OMS come ungraded, che secondo le definizioni internazionali (vedi qui, p.28) si ha quando un’emergenza sanitaria, dopo essere stata monitorata dall’OMS, non richiede l’intervento di forze supplementari. Nel complesso su 80 focolai registrati nei primi 6 mesi dell’anno, 67 sono stati definiti “ungraded”. Cinque invece sono le epidemie dichiarate di grado 1, dove cioè l’emergenza richiede un supporto da parte dell’ufficio regionale dell’OMS ai sistemi sanitari coinvolti senza bisogno di coinvolgere altre forze, come è avvenuto per le epidemie di colera in Ciad, Kenia e Mozambico, per l’epatite E sempre in Ciad e per un focolaio di rift valley fever in Kenia.
Infine, l’epidemia di peste in Madagascar ha richiesto un grado 2 mentre l’epidemia di ebola e quella di colera, entrambe in Repubblica Democratica del Congo sono state classificate come grado 3.

I dati presenti in questa mappa provengono dai bollettini settimanali pubblicati dall’ufficio africano dell’OMS. Noi di Infodata abbiamo provveduto a contare per ogni paese il numero di casi e di morti per ogni malattia citata nei rapporti OMS, per le epidemie in atto dal 1 gennaio al 29 giugno 2018. Si precisa inoltre che la Regione Africana dell’OMS non coincide con il continente africano: i paesi al di sopra del Sahara, tranne l’Algeria, appartengono alla regione medio orientale dell’OMS e pertanto non sono incluse nei bollettini esaminati.

La maggior parte dei focolai si è concentrata in pochi paesi, dove sono in atto vere e proprie emergenze umanitarie, cioè dove alle epidemie di affiancano conflitti armati, fame, violenza: parliamo della Nigeria, della Repubblica Democratica del Congo, del Sud Sudan, del Camerun, della Repubblica Centrafricana, dell’Uganda, del Niger e del Mali, solo per rimanere sugli ultimi sei mesi. In Nigeria per esempio, dove la copertura vaccinale per la prima dose di morbillo è del 42%, si sono ammalate di morbillo negli ultimi sei mesi quasi 10 mila persone, anche se il tasso di mortalità rimane inferiore all’1%. Sempre in Nigeria 10 mila persone hanno contratto il colera, 244 il vaiolo delle scimmie, 1900 la febbre gialla, 454 la febbre di lassa, e si è avuto addirittura un caso di polio, che si va ad aggiungere ai 28 registrati in Repubblica Democratica del Congo.

Nel complesso possiamo dire che il principale colpevole fra le malattie infettive in Africa è ancora oggi il colera, una delle principali malattie della povertà, che riflette la scarsità di servizi sanitari e di infrastrutture fognarie per tutti in modo da non contaminare le acque. Lo stesso vale per la Febbre di Lassa: nelle zone dove la malattia è endemica (principalmente in Africa occidentale), la prevenzione dell’infezione consiste essenzialmente nell’adozione di norme igieniche che riducano l’accesso dei roditori nelle case.
In soli sei mesi si sono ammalate di colera 20 mila persone in Sud Sudan, 14 mila in Nigeria, oltre 12 mila in Repubblica Democratica del Congo, 5900 in Zambia, 5400 in Kenia. Hanno invece contratto il morbillo, seconda malattia per incidenza, oltre 14 mila persone nella Repubblica Democratica del Congo, 9800 in Nigeria, oltre 3000 in Liberia e oltre 2000 in Etiopia, Uganda e Algeria, e più di 1000 in Guinea.

Se, come nella precedente puntata dove raccontavamo le coperture vaccinali, consideriamo i paesi di provenienza delle persone migranti arrivate in Italia nel 2018, vediamo che provengono da Tunisia, Eritrea, Sudan, Nigeria, Costa d’Avorio, Mali, Guinea e Algeria, e fra questi solo la Nigeria presenta una situazione molto difficile dal punto di vista sanitario.
È importante precisare che in ogni caso si tratta di malattie estremamente violente e dal decorso rapido – pensiamo al colera che si manifesta subito con forte vomito e diarrea che se non curato porta a morte, o alla dengue, che dà luogo a febbre nell’arco di 5-6 giorni dalla puntura di zanzara. Non è dunque pensabile che una persona malata riesca ad arrivare nel nostro paese, nonostante quello che vanno urlando periodicamente diversi politici.

È necessario chiarire un ultimo aspetto: se ci sono paesi, come la Nigeria, dove ci si ammala per esempio di morbillo anche perché le coperture vaccinali sono basse, ci sono al contrario paesi dove la copertura vaccinale per il morbillo è relativamente elevata rispetto alla media del continente (<90%), e che tuttavia registrano altri tassi di incidenza della malattia. È il caso per esempio della Repubblica Democratica del Congo. Andando a fare due conti però si evince che l’8% della popolazione che attualmente non è vaccinata in Repubblica Democratica del Congo equivale a 5,4 milioni di persone, mentre ad ammalarsi di morbillo sono state 14 mila persone nel 2018, di cui 149 morti, in un paese estremamente vulnerabile dal punto di vista sanitario, dove si sta combattendo contro ebola e contro la sempreverde epidemia di colera.

In altre parole, in una situazione di estrema povertà, dove si continua a fare la fame, anche se le coperture almeno per la prima dose sono buone, al momento non bastano per debellare una volta per tutte malattie che potrebbero essere scomparse. È la povertà a uccidere, che va a braccetto con i conflitti armati che non c’è interesse a spegnere.