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economia

Quanto vale l’Europa dell’industria? Il confronto internazionale

In Gran Bretagna, la scelta iconoclasta e protezionista della Brexit ha un suono punk. Nel Vecchio Continente, le tracce musicali anti comunitarie rischiano di mandare fuori tempo l’Italia. Siamo così integrati nel coro europeo che, in caso di suo scioglimento, il futuro ci riserverebbe un destino da voce esile e inconsistente. Da soli, saremmo sommersi di nuovo dal rumore della storia e del mondo.
Nell’anno in cui la Francia e la Germania ospiteranno le elezioni presidenziali e federali, nessuno nega la possibilità che si attivino meccanismi di disgregazione dell’unità politica e monetaria. Soprattutto adesso che il fiume in piena chiamato Donald Trump ha irrorato i movimenti di opinione e i partiti politici populistici e neo-nazionalistici, che hanno avuto la loro base naturale nell’ottusità delle euroburocrazie e nel doppio fallimento dell’incompiuta armonizzazione fiscale e della gestione dei debiti nazionali. Questa nuova bomba è innescata in un corpo economico – italiano e comunitario – che negli ultimi dieci anni ha sperimentato la durezza e la pervasività della grande crisi. Tutto questo ci tocca. Il nostro sistema industriale ed economico è interconnesso all’Europa. Che, dopo venticinque anni di globalizzazione e di mercati aperti, è diventata nei fatti il nostro mercato interno. Nel quale si è verificata una integrazione dei tessuti produttivi.

Articolo sul Sole 24 Ore dell’8 febbraio 2017