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tecnologia

Le startup che offrono servizi attraverso grandi piattaforme digitali.


All’ultimo re: Invent di Las Vegas, l’appuntamento annuale di Amazon sul mondo cloud, si contavano una ventina di startup all’ombra di colossi come Intel e Accenture. I nomi diranno poco ai non addetti ai lavori, dall’analisi predittiva di Netuitive alla piattaforma di micro-servizi Codefresh. A fare più effetto, semmai, sono i finanziamenti raccolti: 189,9 milioni di dollari in totale, oltretutto riferiti solo a 13 delle 25 aziende presenti (le altre non li rendono noti). La stima, svolta dal Sole 24 Ore su dati del portale Usa Crunchbase, dà già un’idea del peso dell’innovazione nel business delle “nuvole”: i sistemi di archiviazione e trasmissione dati, in crescita vertiginosa nell’era dell’Internet of things e Big Data a uso industriale. Il mercato resta dominato da giganti come la stessa Amazon Web Services, Microsoft e Ibm, ma le startup fioriscono sull’onda del cloud shift: la migrazione di dati verso piattaforme digitali che coinvolge business e competenze diverse. Uno studio di Gartner, società di consulenza Usa specializzata in It, ha previsto investimenti da 111 miliardi di dollari nel 2016 e 216 miliardi nel 2020. E se si considera il medio periodo, l’ammontare complessivo del giro d’affari potrebbe toccare il trilione di dollari nell’arco dei prossimi cinque anni. Per un’impresa giovane, occuparsi di cloud significa muoversi in un settore di confine tra servizi alla persona, servizi ai consumatori, Iot (internet of things) o modelli predittivi per le imprese (predictive analytics). La già citata Netuitive, fondata nel 2014, ha raccolto 48 milioni di dollari in finanziamenti in due anni con la sua applicazione di predictive analytics (analisi predittiva) per aiutare le imprese nella gestione di servizi e app per il proprio business. Rivermeadow (34 milioni di investimenti) gestisce la migrazione di dati da dispositivi fisici e cloud. CircleCi (25,5 milioni) semplifica il lavoro degli sviluppatori con una piattaforma che automatizza elaborazione e testing della scrittura dei codici. E, tornando in Italia, la bolognese Cubbit ha brevettato un dispositivo “all you can cloud”: una tecnologia che trasforma hard disk in cloud, con un sistema che abbassa il prezzo mano a mano che aumenta la memoria immagazzinata (il picco costo-spazio di 99 centesimi per 2 terabyte). I grandi gruppi si sono accorti del fenomeno e tengono sotto stretta osservazione le startup, in parte secondo la logica della open innovation (l’innovazione creata dalla contaminazione con nuove imprese) e in parte con l’acquisizione diretta di aziende che potrebbero essere funzionali al proprio core business. Microsoft ha lanciato nel 2012 Microsoft Ventures, un acceleratore globale di startup che concentra le sue attenzioni su cloud, Big Data e infrastrutture software. «Il cloud sta portando parecchia “distruzione” rispetto ai vecchi paradigmi e il motivo è facile da comprendere. Oggi si può costruire un business molto profittevole senza grandi investimenti» dice al Sole 24 Ore Fabio Santini, direttore della divisione Developer experience and evangelism di Microsoft. I giganti come la casa di Redmond cercano nelle startup soluzioni inedite e un approccio estraneo alle logiche corporate. E non è un caso che la prima acquisizione di Microsoft in Italia abbia riguardato Solair, un’azienda di software di Casalecchio di Reno (Bologna) che vende soluzioni per l’Internet of things. Se si entra nel dettaglio dei settori di applicazione, Santini vede futuro per le startup sia del B2B (business-to-business, i servizi per le aziende) che del B2C (business-to-consumer, i servizi per i clienti): «Forse prima di tutto il B2C, con servizi privati e internet of things. Anche se, per conseguenza, il business degli oggetti indossabili può applicarsi all’industria 4.0 e quindi alla frontiere del B2C» dice Santini. A impressionare, quando si guardano i numeri del fenomeno, sono i ritmi di crescita delle startup del cloud e gli investimenti incassati in tempi brevi. Due indizi che spiegano l’interesse dei colossi a non farsi sorprendere da quello che cova tra incubatori e fondi venture capital: «I gruppi corporate investono perché devono restare competitivi e hanno paura che innovazione dettata dall’interno sia abbastanza lenta – spiega Santini – Per questo guardano al mondo dei giovani».
startup@ilsole24ore.com