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cronaca

La fragilità delle classifiche internazionali: l’Italia emerge più depressa della realtà

Può un pugno di 87 manager stabilire se l’Italia è meno competitiva di Malta e Mauritius o se ha un mercato del lavoro peggiore di Libia e Pakistan e un accesso al credito al livello di Nigeria e Burkina Faso? Per il World economic forum sì.
È forse questo uno degli esempi più lampanti della fragilità metodologica di molte classifiche internazionali su cui spesso ci giudichiamo e veniamo giudicati. Delle sette graduatorie più popolari, che ci vedono puntualmente in coda rispetto ai nostri principali partner europei, nessuna si basa esclusivamente su dati statistici oggettivi: tutte, chi più chi meno, utilizzano dati soggettivi raccolti attraverso sondaggi e indagini a campione.

Pagelle impietose per l’Italia che si ritroverebbe al 49° posto nella classifica mondiale della competitività (Global Competitiveness Index), ma non è l’unica graduatoria in cui il Paese si trova in posizioni così basse. L’Italia risulterebbe 56esima nell’ultimo rapporto Doing Business della Banca Mondiale – dopo il Ruanda e la Bulgaria – e addirittura 80esima per l’Index of Economic Freedom, 44 posizioni sotto il Botswana (qualcuno la chiama “sindrome del Botswana”: la tendenza ad accostare il nostro Paese a Stati difficilmente assimilabili all’Italia per livello di benessere e di ricchezza). Per l’indice della percezione della corruzione siamo 69esimi, 73esimi nella classifica sulla libertà di stampa – con un salto di ben 24 posizioni rispetto al 2014 – e 69esimi nel Global Gender Gap Index, indice che misura la disparità di genere nel mondo.

Da Il Sole 24 ORE del 2 aprile 2015, pagina 23.

Leggi l’articolo completo: Quando l’Italia fa autogol oltre i suoi demeriti