I decessi causati dai conflitti globali hanno raggiunto il livello più alto degli ultimi venticinque anni. Questo è accaduto mentre 106 Paesi, dal 2023, hanno aumentato il loro status di militarizzazione, invertendo la tendenza in declino registrata negli ultimi due decenni. Nondimeno, il livello di risoluzione dei conflitti ha raggiunto la condizione più bassa da cinquant’anni a questa parte. Sono questi i fatti posti sotto la lente d’ingrandimento dell’Institute for Economics and Peace, l’IEP, che si propone il compito di utilizzare “la ricerca per dimostrare che la pace è una misura positiva e realizzabile del benessere e dello sviluppo”. Per assolvere a questa missione scientifica, come ogni anno dal 2007 ad oggi, l’Istituto formula il Global Peace Index, il rapporto che classifica 163 Stati e territori indipendenti in base al loro livello di pace. Ma come funziona l’indice? Sulla base di quale metodologia viene definito?
L’analisi raccoglie i dati più aggiornati per comprendere le tendenze geopolitiche e il loro valore economico. Nello specifico, il GPI copre 163 Paesi che rappresentano il 99,7% della popolazione mondiale, utilizzando ventitré indicatori qualitativi e quantitativi provenienti da diverse fonti reputate dai ricercatori dell’IEP come attendibili. Il risultato è un indicatore che misuri lo status di pace in tre ambiti: il livello di sicurezza sociale, l’entità dei conflitti (interni e internazionali) in corso e il grado di militarizzazione complessiva. Ma il rapporto non si limita a identificare un valore per ogni singolo Paese tenuto in considerazione, include anche un’analisi dei conflitti attuali, dei punti caldi di escalation e della valutazione dei rischi, dell’impatto economico della violenza e, più in generale, del ruolo della pace.
In definitiva, guardando ai risultati, alcune delle tendenze più interessanti riguardano la frammentazione geopolitica che secondo lo studio è aumentata in modo sostanziale. Ciò è particolarmente evidente nell’indicatore relativo alle relazioni tra Stati confinanti, che ha subito un notevole deterioramento dal 2008, con 59 paesi che registrano un peggioramento dei rapporti con i Paesi vicini e solo 19 che ne hanno evidenziato un miglioramento. Ma non è tutto, nell’analisi trapelano notevoli riduzioni nell’interazione globale in ambito economico, commerciale, diplomatico e militare. Queste sono in costante calo dalla crisi finanziaria globale del 2008. Inoltre, ogni Stato dotato di armi nucleari ha mantenuto o ampliato il proprio arsenale dal 2022, e la rivalità tra le grandi potenze sta alimentando una corsa agli armamenti nelle tecnologie avanzate, dai droni dotati di intelligenza artificiale ai sistemi anti-spaziali. Noi della redazione di Info Data ne avevamo parlato in precedenti articoli.
Entrando nel merito dell’ultimo ranking fornito dall’Istituto, si può dire che la classifica mondiale è guidata dall’Islanda. Una faccenda che, a quanto pare, non avrà lasciato di stucco i ricercatori dell’IEF, essendo questo il diciassettesimo anno consecutivo che l’isola nord-europea si aggiudica il gradino in alto del podio come Stato più pacifico al mondo. La seguono l’Irlanda e la Nuova Zelanda, rispettivamente al secondo e al terzo posto. Le ultime in classifica, invece, sono Sudan, Ucraina e Russia, che tuttavia si distaccano ben poco l’una dall’altra, e senza discostarsi troppo dalle precedenti posizioni della coda, dove troviamo anche il Congo, lo Yemen, l’Afghanistan e la Siria.
Cosa dice lo studio sull’Italia? Siamo presenti in classifica al trentatreesimo posto, guadagnando una posizione rispetto al precedente anno. Il principale motivo per cui il nostro Paese viene spesso citato nel report riguarda il fatto che otto dei dieci maggiori esportatori di armi su base pro-capite sono democrazie occidentali, tra cui Francia, Svezia, Paesi Bassi, Germania, Norvegia e, appunto, l’Italia.
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