Quantificare il numero di vittime durante un conflitto è un esercizio complesso, caratterizzato dall’incertezza e dagli ostacoli che un’area di crisi porta con sé. Riuscire a determinare i decessi dovuti alla penuria di cibo aggiunge uno strato di difficoltà in più.
Il livello di malnutrizione a Gaza è drammatico e a confermarlo c’è l’ultimo report dell’Integrated Food Security Phase Classification (IPC), l’organizzazione che collabora con 21 istituti, tra cui l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura (FAO), la World Food Programme (WFP) e l’Organizzazione Mondiale della Sanità (WHO), e ha l’obiettivo di fornire analisi sulla sicurezza alimentare al fine di informare correttamente il pubblico e gli attori politici.
Nel loro ultimo rapporto, uscito il 29 luglio 2025, vengono riportati i risultati di un’analisi CATI (Computer-Assisted Telephone Interviewing): un terzo della popolazione nella Striscia resta senza cibo per giorni interi. “Tra maggio e luglio 2025 il numero di famiglie afflitte da fame estrema è raddoppiato” continua il resoconto, aggiungendo che la soglia ufficiale per la dichiarazione di carestia (fase 5 secondo la classificazione IPC) è stata superata in diverse aree della Striscia. La malnutrizione è cresciuta rapidamente nel mese di luglio, tanto che, delle 74 vittime per fame registrate nel 2025, 63 sono attribuibili al mese più recente.
Cos’è la classificazione IPC?
L’organizzazione si concentra su tre aree di rischio: insicurezza alimentare acuta (AFI), insicurezza alimentare cronica (CFI) e malnutrizione acuta (AM). Nel report, e nel caso di Gaza, l’impegno è prevalentemente rivolto allo studio della prima tipologia di crisi, poiché riguarda i casi in cui vi è una privazione di cibo che minaccia la vita delle persone.
Nell’AFI, vengono fissate 5 classi di gravità:
● Fase 1: nulla o scarsa, le famiglie sono generalmente in grado di soddisfare i propri bisogni, alimentari e non;
● Fase 2: sotto stress, le famiglie hanno un consumo alimentare minimo adeguato, ma non riesco agevolmente a soddisfare altri tipi di bisogni;
● Fase 3: crisi, ci sono lacune nel consumo alimentare e conseguente malnutrizione superiore alla norma; oppure, il consumo è adeguato, ma richiede l’esaurimento delle proprie risorse;
● Fase 4: emergenza, le lacune nel consumo alimentare portano a una mortalità eccessiva; oppure, le carenze vengono colmate, ma attraverso la sussistenza o la liquidazione di beni;
● Fase 5: catastrofe/carestia, c’è carenza di cibo nonostante tutte le strategie di sopravvivenza adottate e si registrano fame, morte, indigenza e livelli estremamente critici di malnutrizione acuta.
Il riconoscimento ufficiale di carestia richiede che il 20% delle famiglie abbia una grave mancanza di cibo, che il 30% dei bambini soffrano di malnutrizione acuta e che ogni 10.000 morti, ce ne siano 2 di adulti o 4 di bambini non dovuti a traumi. I casi più recenti di carestie riconosciute riguardano la Somalia nel 2011 e il Sud Sudan nel 2017, dove i conflitti e la morfologia dei territori hanno esposto alle fasi 4 e 5 dell’IPC rispettivamente circa 2.800.000 e 2.100.000 persone.
Come visto prima, i numeri assoluti e relativi da soli non sono utili a riconoscere la carestia in un’area, ma sono comunque numeri importanti che, insieme ad altri i parametri, devono essere presi in considerazione. Mettendo in relazione la quota di popolazione assoluta affetta dalle fasi 4 e 5, quindi in uno stato di emergenza o di catastrofe umanitaria, rispetto alla popolazione totale, il quadro che emerge è drastico: le stime più recenti sostengono che quasi il 60% della popolazione palestinese nella Striscia viva in una situazione di emergenza e di catastrofe, mentre nelle carestie ufficialmente riconosciute la quota era all’incirca del 20%.
“Non è possibile quantificare la mortalità attraverso questi confronti” avverte la World Peace Foundation, allo stesso tempo sostenendo che in altri casi di carestia confermata o presunta, la mortalità in eccesso era nell’ordine di 10 o 100 mila persone e che Gaza, in scala rispetto alla sua popolazione, potrebbe non costituire un’eccezione se gli attacchi e i divieti israeliani non cesseranno.
L’IPC ha effettuato anche delle stime per tentare di prevedere quale sarà l’andamento della crisi nella Striscia e non ipotizza alcun tipo di miglioramento. Secondo le previsioni, nel periodo fino a settembre 2025, sia Rafah che Gaza Nord avranno più dell’85% della popolazione in uno stato di emergenza e catastrofe, mentre a Khan Yunis e a Gaza, tale quota sarà compresa tra il 75% e l’80%. Deir el-Balah si attesterà tra il 70% e il 75%. Nel complesso, l’intera Striscia avrà in media circa l’80% della popolazione in grave crisi alimentare.
Dal 27 maggio, più di 1060 gazawi sono stati uccisi e 7200 sono rimasti feriti nel tentativo di accedere al cibo. Il 5 maggio, per fornire cibo e altri beni nella Striscia, Israele ha annunciato un piano giudicato altamente insufficiente per soddisfare i bisogni dei suoi abitanti, secondo IPC. L’organizzazione ha aggiunto che il metodo di distribuzione proposto creerà barriere all’accesso per buona parte della popolazione gazawa, avvertendo che le operazioni militari israeliane nella Striscia e le difficoltà per le agenzie umanitarie di fornire beni e servizi essenziali, non faranno altro che aumentare il rischio di carestia nell’intero territorio.
Da febbraio 2025 in poi, la quantità di cibo fornito a Gaza è diminuita drasticamente. Secondo COGAT, è giustificabile dal fatto che gli aiuti forniti nei mesi di gennaio e febbraio siano stati molto elevati, ma, in generale, confrontando il periodo da marzo a luglio, rispetto a quello dell’anno precedente, nel 2025 gli aiuti sono stati più che dimezzati e, in alcuni casi, completamente azzerati.
Il rapido declino della situazione alimentare a Gaza potrebbe essere direttamente collegato alla mancanza di aiuti forniti in quei due mesi e, nel complesso, a una diminuzione rispetto all’anno precedente.
Il report pubblicato da IPC a maggio registra un aumento delle persone esposte alle fasi 4 e 5, rispetto ai mesi di giugno e di ottobre del 2024, mostrando come i mesi in cui gli aiuti sono stati azzerati siano stati di grave impatto sulla popolazione palestinese, la quale si è trovata in maggiore insicurezza alimentare, nonostante un apparente miglioramento nei mesi precedenti. Il numero di vittime totali, a cavallo tra 2024 e 2025, sembrano seguire l’andamento dell’insicurezza alimentare, a ribadire che il fenomeno potrebbe essere la causa di mortalità eccessiva, ma anche che ci può essere un maggior rischio di vittime indirettamente legate alla fame: l’esempio più drammatico è quello degli assalti ai camion degli aiuti che spesso hanno provocati morti, oppure delle malattie contratte rivelatesi poi fatali a causa della malnutrizione che indebolisce il sistema immunitario e impedisce cure più efficaci.
Il report più recente stima 925.000 persone in situazione di emergenza e 244.000 in quella di catastrofe, secondo la classificazione IPC. Le previsioni sostengono un aumento rispettivamente a 1.135.000 e 469.500, con incrementi relativi del 23% e del 92%, evidenziando come il pericolo della carestia sia sempre più vicino.
Attualmente, ci sono 70.533 bambini sotto i 5 anni che soffrono di malnutrizione acuta, di cui 14.107 colpiti da una forma ancora più grave e principalmente concentrati a Gaza City e a Khan Younis.
IPC sottolinea come le azioni da intraprendere subito siano la cessazione di tutte le ostilità, un accesso umanitario libero e garantito, accompagnato da una protezione fornita agli operatori e ai civili. Viene sottolineato com le infrastrutture civili debbano essere al sicuro da attacchi e costituire la base da cui partire per fornire gli aiuti alla popolazione, i quali non dovranno essere solamente relativi al cibo, ma all’assistenza umanitaria più in generale, dai sistemi sanitari a quelli di produzione, dall’accesso all’acqua alla catena commerciale.
I dati forniti da IPC su coloro che si trovano in uno stato di grave insicurezza alimentare mostrano un quadro già sufficientemente catastrofico che dovrebbe spingere ad azioni immediate da parte del resto del mondo, ma specialmente da Israele e dai suoi alleati. L’attuale situazione nella Striscia impedisce stime accurate dei decessi in eccesso dovuti a inedia o a crisi correlate, ma la gravità della tragedia è evidente e l’assenza di dati accurati sulle vittime dell’insicurezza alimentare non può essere utilizzata come argomento per negare che un popolo stia morendo di fame.
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