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scienze

Entro il 2050, 220 milioni di persone che abitano in città potrebbero vedersi negare l’accesso all’acqua corrente

Entro il 2050 la forma delle città potrebbe determinare se centinaia di milioni di persone avranno accesso all’acqua corrente. Uno studio del Complexity Science Hub Vienna e della World Bank pubblicato su Nature Cities ha analizzato oltre 100 agglomerati urbani in Asia Africa e America Latina considerando 183 milioni di edifici e 125 mila rilevazioni familiari. La tesi è matematica più che urbanistica: la struttura spaziale delle città incide in modo diretto sul costo e sulla copertura delle infrastrutture idriche. Due gli indicatori usati dai ricercatori: la remoteness cioè la distanza di ciascuna area dal centro e la sparseness una misura della dispersione abitativa. Le zone meno remote mostrano redditi più elevati e maggiore accesso ad acqua ed energia mentre in quelle più sparse le tariffe idriche aumentano fino al 75 per cento e la percentuale di abitanti serviti da acqua potabile di rete può ridursi della metà rispetto ai contesti più compatti secondo i dati pubblicati su Nature Cities

Per stimare come evolverà il problema gli autori hanno simulato tre scenari di crescita urbana in un contesto di raddoppio della popolazione: crescita compatta crescita persistente e crescita orizzontale. Nel primo caso la densificazione permette di estendere l’accesso all’acqua corrente fino a 220 milioni di persone e quello ai sistemi fognari fino a 190 milioni in più rispetto allo scenario di espansione periferica. Negli scenari di sprawl invece la rete idrica si comporta come un elastico tirato troppo a lungo: più periferia si costruisce più difficile diventa mantenere la pressione e garantire collegamenti economicamente sostenibili

Questo risultato pesa soprattutto sulle città africane la cui popolazione urbana secondo la World Bank passerà da 550 milioni nel 2018 a quasi 1,5 miliardi entro il 2050. Dove la crescita avviene su suoli con basse precipitazioni o scarsa capacità di trattenere acqua l’estensione delle reti diventa ancora più onerosa. La dispersione aumenta i chilometri di tubature necessari per ogni nuova utenza e fa lievitare i costi operativi riducendo la probabilità che le famiglie periferiche siano collegate alla rete

La densità però non basta da sola. Lo studio cita le baraccopoli ad alta densità come Rocinha a Rio de Janeiro dove la prossimità fisica non si traduce in accesso sicuro ai servizi igienico sanitari. Anche in questo caso la variabile decisiva non è la densità in sé ma la capacità amministrativa di trasformarla in infrastruttura. La lezione dei ricercatori guidati da Rafael Prieto Curiel è che la forma urbana è una variabile ingegneristica e politica allo stesso tempo. Una città dispersa si comporta come una rete elettrica con troppi cavi lunghi e pochi trasformatori mentre una città compatta concentra la domanda rendendo più semplice distribuire acqua ed energia

La scelta sulla crescita urbana diventa quindi una politica dell’acqua. Densificare significa rendere la rete più efficiente e raggiungere più utenti con minori investimenti mentre continuare ad espandersi verso l’esterno significa trasformare milioni di futuri abitanti urbani in consumatori senza infrastruttura formale. La forma della città non è un dettaglio estetico ma un predittore di disuguaglianza materiale. Pianificare significa evitare che l’urbanizzazione del XXI secolo produca una nuova geografia della scarsità idrica in cui abitare in città non garantisce più l’accesso all’acqua potabile

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