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Quante patatine fritte sono troppe per il rischio di diabete? Lo studio

Diabete per classi di età: prevalenze medie annue 2016-2022 e stima del numero di casi prevalenti al 1 Gennaio 2023 fra i residenti in Italia. PASSI e PASSI d’Argento 2016-2022

Un italiano su 5 con più di 70 anni ha sviluppato il diabete (quasi sempre di tipo 2), così come il 5% di chi ha meno di 50 anni. Solo nel nostro paese oltre quattro milioni di persone convivono con questa malattia, sempre più diffusa in tutto il mondo, perché nel caso del tipo 2 è legata agli stili di vita e la cui incidenza aumenta con l’età. Uno studio pubblicato su The Lancet nel 2023 avvertiva che, entro il 2050, il numero di persone con diabete nel mondo raggiungerà quasi il triplo dei casi attuali. Passeremo dai 529 milioni di casi di diabete del 2021 a oltre 1,3 miliardi entro il 2050. In nessun paese si prevede una riduzione nei prossimi trent’anni, e secondo i dati OMS nel mondo oltre 530.000 morti per malattie renali erano in realtà imputabili al diabete, mentre l’iperglicemia è responsabile di circa l’11% dei decessi per malattie cardiovascolari.

Nel mondo nel 2022, il 14% degli adulti di 18 anni e più conviveva con il diabete, rispetto al 7% registrato nel 1990. Capire come i giovani adulti di oggi potranno invecchiare senza diabete di tipo 2 è cruciale.

Effetti stimati della sostituzione di tre porzioni settimanali di diversi tipi di patate con cereali integrali sull’incidenza del diabete di tipo 2. Le stime si basano su dati meta-analizzati per patate e cereali integrali.

Un ampio studio della Harvard T.H. Chan School of Public Health, pubblicato il 6 agosto sul BMJ ha mostrato per la prima volta che tre porzioni settimanali di patatine fritte aumentano del 20% il rischio di sviluppare diabete di tipo 2. Nessuna associazione significativa è stata invece osservata per patate bollite, al forno o in purè. Tuttavia, quando i ricercatori hanno calcolato gli effetti delle sostituzioni alimentari, è emerso che rimpiazzare le patate con cereali integrali riduce il rischio del 4%, mentre sostituire le patatine fritte con cereali integrali porta a una riduzione del 19%.

Il nuovo studio: 205 mila persone seguite per tre decenni

La forza di questo lavoro di Harvard è anche che si basa su tre grandi coorti di popolazione: il Nurses’ Health Study (NHS), il Nurses’ Health Study II (NHSII) e l’Health Professionals Follow-up Study (HPFS), che complessivamente hanno incluso 205.107 uomini e donne, seguiti per oltre trent’anni. Nel corso di questo periodo, 22.299 partecipanti hanno ricevuto una diagnosi di diabete di tipo 2.
La raccolta dei dati dietetici si è basata su questionari semiquantitativi di frequenza alimentare, strumenti validati che chiedevano ai partecipanti di riferire le loro abitudini di consumo nell’anno precedente. Nel NHS, le prime rilevazioni risalgono al 1980 con un questionario breve, ampliato nel 1984 e riproposto ogni quattro anni fino al 2010. Nel NHSII e nell’HPFS, invece, i questionari sono stati introdotti rispettivamente nel 1991 e nel 1986, con la stessa cadenza quadriennale.
Per le patate erano previste tre domande distinte: una su patate bollite, al forno o in purè (una patata media o una tazza), una sulle patatine fritte (4-6 once, pari a una porzione da 130 grammi circa), e una su patatine o chips di mais (un piccolo sacchetto da un’oncia, circa 30 grammi).
Per tenere conto dei cambiamenti nel tempo delle dimensioni delle porzioni, i ricercatori hanno confrontato i pesi dichiarati nei questionari con i dati del National Health and Nutrition Examination Survey (NHANES), in modo da correggere eventuali variazioni. I questionari hanno raccolto anche informazioni dettagliate su altri gruppi alimentari – come carne rossa, pesce, latticini, frutta, verdura e bevande zuccherate – e consentito di stimare l’apporto totale di energia e alcol attraverso il database nutrizionale dell’Università di Harvard.

Meglio optare per i cereali integrali

Le patate sono il terzo alimento più consumato al mondo e la principale fonte non cerealicola di energia. Negli Stati Uniti sono classificate come verdura nelle linee guida dietetiche, ma non sono proprio verdure. Si tratta di un alimento peculiare: apportano fibre, vitamina C, potassio, polifenoli e magnesio, con un alto contenuto di amido che le rende responsabili di un indice glicemico elevato. Inoltre, i metodi di cottura possono modificare in modo rilevante la disponibilità dei nutrienti e, di conseguenza, gli effetti sulla salute.

Oltre all’analisi delle coorti, gli studiosi hanno condotto una meta-analisi aggiornata su dati provenienti da 13 coorti sul consumo di patate e 11 coorti sul consumo di cereali integrali, per un totale di oltre mezzo milione di partecipanti e 43.000 diagnosi di diabete. Anche in questo caso, i risultati hanno confermato che il rischio maggiore è associato alle patatine fritte, mentre i cereali integrali si confermano protettivi nei confronti di molte malattie croniche, incluso il diabete.

Non basta mangiare meglio

Il diabete non è solo questione di zuccheri nel sangue, ma una condizione strettamente legata agli stili di vita e alle disuguaglianze sociali. Controllare la malattia significa quindi intervenire anche su fumo, dieta, attività fisica e peso corporeo, per prevenire complicanze e migliorare la qualità della vita di chi ne è affetto. I dati dei sistemi di sorveglianza PASSI e PASSI d’Argento dell’ISS mostrano che non tutti ne sono colpiti allo stesso modo: il diabete è più diffuso nel Sud e nelle Isole e tra chi affronta maggiori difficoltà economiche, evidenziando un vero e proprio gradiente sociale e territoriale. Tra gli adulti dai 18 ai 64 anni, il 25% fuma, l’11% consuma alcol in modo rischioso, il 45% è completamente sedentario e solo il 9% raggiunge la quota raccomandata di cinque porzioni giornaliere di frutta e verdura. Il 31% è obeso, il 48% soffre di ipertensione e il 40% ha il colesterolo alto; il 15% riporta una diagnosi di malattia cardiovascolare, il 7% un tumore, il 6% un’insufficienza renale e il 12% manifesta sintomi depressivi. Tra gli over 65, il quadro peggiora sotto alcuni aspetti: il 10% fuma, il 16% fa un consumo di alcol a rischio, il 47% è sedentario, solo il 10% consuma quotidianamente frutta e verdura nelle quantità consigliate, il 22% è obeso e il 71% è iperteso.

E tu, sapresti riconoscere il pre-diabete?

Negli Stati Uniti, il Centro per il Controllo e la Prevenzione delle Malattie (CDC) stima che 34 milioni di persone, cioè 1 su 10, siano affette da diabete, ma a questi si aggiungono ben 88 milioni di individui con prediabete, pari a 1 su 3. Si definisce prediabete quando i valori di glicemia a digiuno oscillano tra 100 e 125 mg/dl, ma quasi sempre queste persone non hanno sintomi evidenti, e non ci fanno molto caso. Eppure, si tratta di numeri tutt’altro che trascurabili: tra le persone con prediabete, il 18% ha registrato problemi cardiovascolari nell’arco di cinque anni, contro l’11% di chi ha livelli di glicemia nella norma.

 

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