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scienze

Come è cambiato l’uso dell’Ai all’università in soli 12 mesi. I dati

© Nature, 2025 Universities are embracing AI: will students get smarter or stop thinking?

Secondo la Student Generative AI Survey 2025, pubblicata a febbraio 2025 dal  Higher Education Policy Institute (HEPI) e da Kortext, la quota di studenti universitari che utilizza strumenti come ChatGPT per la redazione o il supporto alle valutazioni è cresciuta incredibilmente. Nel complesso, il 92% degli intervistati ha utilizzato almeno uno strumento di intelligenza artificiale, contro il 66% dell’anno precedente. La generazione di testo resta la funzione più popolare, seguita dalla revisione linguistica — ad esempio tramite Grammarly — e dall’accesso a risorse accademiche come i manuali digitali. Gli studenti usano l’IA soprattutto per spiegare concetti, riassumere articoli e generare idee di ricerca, mentre la percentuale di chi dichiara di non averla mai impiegata in questi contesti è crollata dal 47% al 12%.
Tuttavia, emerge una nuova frattura digitale: gli studenti maschi, quelli iscritti a corsi STEM e in ambito sanitario, e coloro provenienti da contesti socioeconomici più favoriti risultano significativamente più propensi all’uso dell’intelligenza artificiale rispetto ai loro coetanei.

La ricerca ha analizzato le risposte di oltre mille studenti (1.041) raccolte dalla società di consulenza Savanta.

Versioni di AI generativa pensate per le università?

È notizia di agosto 2025 che Google ha investito 1 miliardo di dollari per diffondere l’Intelligenza Artificiale nelle università americane, rendendo dosponibili gratuiramente i propri strimenti più avanzati per gli studenti con pù di 18 anni.

Già a metà 2024 OpenAI ha introdotto ChatGPT Edu, una versione del popolare chatbot pensata appositamente per le università. A febbraio, quando il sistema della California State University ha annunciato che avrebbe concesso ai suoi 520.000 studenti e docenti l’accesso a questo strumento, si è trattato della “più grande implementazione di ChatGPT da parte di una singola organizzazione o azienda al mondo”, secondo OpenAI. La differenza principale sta nel modo in cui il servizio viene erogato. Con ChatGPT Edu, l’università o l’istituto stipula un accordo diretto con OpenAI: questo consente di offrire agli utenti dell’ateneo l’accesso a modelli avanzati come GPT-4o e alle ultime versioni ottimizzate per scopi educativi, con prestazioni e limiti di utilizzo più adatti a carichi di lavoro accademici. Ma soprattutto, l’accordo include garanzie specifiche sul trattamento dei dati: ChatGPT Edu è progettato per rispettare standard di sicurezza e privacy più rigorosi, in modo che le conversazioni degli studenti e del personale non vengano utilizzate per addestrare i modelli, e restino confinate nell’ambiente istituzionale.
Un altro aspetto rilevante è l’attenzione alla sostenibilità economica. ChatGPT Edu viene fornito con licenze agevolate per gli atenei, così da rendere l’uso dell’IA accessibile su larga scala all’interno della comunità accademica. Ciò permette, per esempio, che studenti e docenti possano usare la piattaforma con un proprio account universitario, integrato nei sistemi informatici dell’ateneo, senza dover sottoscrivere un abbonamento personale.

In Italia accordo fra CRUI e OpenAI (primo in Europa)

Nel frattempo, anche il sistema universitario italiano compie un passo decisivo verso l’integrazione dell’IA. Grazie all’accordo siglato tra il gruppo ICT della CRUI, Conferenza dei Rettori delle Università Italiane, e OpenAI, a partire da settembre le università potranno accedere più facilmente a ChatGPT Edu. Per gli atenei associati le licenze saranno disponibili a condizioni agevolate, ampliando così in modo significativo l’accessibilità della comunità accademica a una delle principali piattaforme di intelligenza artificiale generativa.

Si tratta del primo accordo di questo tipo — certamente in Europa e probabilmente anche a livello mondiale — tra OpenAI e un intero sistema universitario nazionale. Un modello che Kevin Mills, Global Head of Education & Government di OpenAI, ha indicato come esempio da replicare in altri contesti. Grazie alla negoziazione condotta dalla CRUI, anche i centri di ricerca italiani potranno beneficiare delle opportunità offerte dall’intesa.

Questa benedetta produttività

Dietro l’adozione massiccia, le motivazioni principali che emergono dall’indagine citata in apertura riguardano la ricerca di efficienza: il 51% degli studenti afferma di usare l’IA per risparmiare tempo, mentre il 50% la utilizza per migliorare la qualità dei propri elaborati.

Il rapporto fotografa un contesto universitario in rapido adattamento. Tre studenti su cinque (59%) affermano che le modalità di valutazione sono cambiate “molto” in risposta alla diffusione dell’IA. L’80% ritiene che la propria università abbia politiche chiare sull’uso di questi strumenti e il 76% è convinto che l’ateneo sarebbe in grado di individuare chi ne abusa — percentuali entrambe in crescita rispetto al 2024. Tuttavia, la formazione sulle competenze digitali e sull’uso consapevole dell’IA resta carente: solo un terzo degli studenti (36%) dichiara di aver ricevuto un training specifico, nonostante il 67% consideri l’intelligenza artificiale “essenziale” nel mondo di oggi.

La paura di essere accusati di plagio o di violazione delle regole accademiche è infatti uno dei principali deterrenti: il 53% degli studenti cita il rischio di essere considerato un imbroglione come ostacolo all’uso dell’IA, mentre il 51% teme gli “errori” o le “allucinazioni” dei modelli generativi. Solo il 15% è scoraggiato per motivi ambientali.

Prima dell’università?

Cruciale sarà stabilire delle direttive chiare, che al momento latitano, sull’uso dell’IA nel mondo della formazione di bambini e ragazzi prima che parte di loro acceda all’istruzione universitaria.
Una piccola a iniziale indagine condotta da Indire e La Tecnica della Scuola tra gennaio e febbraio, su un campione volontario di 1.803 docenti, mostra un crescente utilizzo dell’intelligenza artificiale nella scuola italiana. Oltre la metà degli insegnanti (52,4%) dichiara di impiegarla come supporto alla didattica, mentre un 10% la usa come strumento compensativo per studenti con maggiori difficoltà. L’IA viene adottata anche al di fuori delle ore di insegnamento: il 56,7% dei docenti la utilizza per redigere relazioni o progettazioni didattiche e il 21,5% come assistente nella verbalizzazione e nella stesura dei verbali delle riunioni. A farne uso più frequentemente sono insegnanti over 50, in prevalenza donne (80%), con contratto a tempo indeterminato nella scuola secondaria e almeno dieci anni di esperienza, soprattutto nelle discipline umanistiche.

È tardi, e forse anche inutile cercare di bloccare questo cambiamento. È in atto, come già altre volte nella storia recente, una trasformazione radicale nelle pratiche di apprendimento della nuova generazione accademica. Vent’anni fa o giù di lì, quando si cominciava a parlare di Web 2.0 nelle scuole e nelle istituzioni accademiche, le ritrosie non erano mancate.

Per approfondire.

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