Il 17 settembre scorso è stato pubblicato sul sito web bioRxiv (che significa che ancora non è stato sottoposto ad alcuna revisione scientifica fra pari) uno studio che deve far discutere: i primi virus progettati dall’intelligenza artificiale (IA), capaci di individuare ed eliminare ceppi di Escherichia coli.
Lo studio è firmato da Hie, King e collaboratori dell’Università di Stanford, e dimostra il potenziale dell’AI nel selezionare e progettare in tempi impensabili nuovi strumenti biotecnologici per il trattamento delle infezioni batteriche.
“Strategie come questa potrebbero affiancare le terapie a base di fagi già esistenti e, un giorno, potenziare i farmaci mirati a qualsiasi patogeno”, ha dichiarato a Nature Brian Hie, biologo computazionale. “È la prima volta che sistemi di AI sono in grado di scrivere sequenze genomiche coerenti su scala completa” continua Hie.
La speranza è chiara: si tratta di un passo storico nella biotecnologia, che apre la strada a future terapie per combattere l’antibiotico-resistenza, che è uno dei grandi problemi sanitari del nostro tempo.
Evo2 + batteriofagi
Andiamo con ordine: per capire appieno la portata di questo risultato è necessario riprendere alcune conoscenze scientifiche di base.
In primo luogo che sistemi di AI sono già stati impiegati per generare sequenze di DNA, singole proteine e complessi molecolari. Tuttavia progettare un intero genoma è molto più complesso per via delle interazioni tra geni e dei processi di replicazione e regolazione. I modelli di AI utilizzati, chiamati Evo 1 ed Evo 2, sono in grado di analizzare e generare sequenze di DNA, RNA e proteine. Ne avevamo ampiamente parlato lo scorso marzo su Infodata: Evo 2 è il più grande modello di intelligenza artificiale mai sviluppato per la biologia. Addestrato su 128.000 genomi provenienti da tutto l’albero della vita — dagli esseri umani ai batteri unicellulari — Evo 2 è in grado di scrivere interi cromosomi e piccoli genomi da zero, oltre a decifrare il DNA esistente, inclusi i tratti non codificanti associati a malattie ma difficili da interpretare.
In secondo luogo, l’articolo si basa sull’approccio all’antibiotico resistenza attraverso i fagi (ne avevamo scritto qualche tempo fa). I batteriofagi, o semplicemente fagi, sono virus che infettano e si replicano solo nelle cellule batteriche. Si tratta degli organismi biologici più abbondanti sulla Terra e non rappresentano alcun pericolo per le cellule umane. La terapia fagica prevede l’isolamento di fagi specifici in grado di colpire un determinato batterio patogeno, come Salmonella, per poi coltivarli in alte concentrazioni e somministrarli al paziente. Questi virus naturali agiscono in modo altamente selettivo contro specifici batteri, senza danneggiare il microbiota dell’ospite, e sono in grado di replicarsi direttamente nel sito dell’infezione, riducendo la necessità di somministrazioni ripetute. L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) prevede che entro il 2050 potrebbe causare 10 milioni di morti ogni anno, con gravi danni anche a livello economico. Negli ultimi decenni quasi non sono stati scoperti nuovi antibiotici, lasciando i medici con un numero sempre più limitato di armi efficaci. Molte delle infezioni più letali tra il 1990 e il 2021 sono state causate da un gruppo di batteri particolarmente resistenti ai farmaci, i gram-negativi, che comprendono tra gli altri Escherichia coli e Acinetobacter baumannii, quest’ultimo spesso associato a infezioni ospedaliere. Di fronte a questo vuoto terapeutico, l’IA ha riaperto di recente la strada proprio alla terapia con batteriofagi, in realtà lanciata decenni fa e rilanciata oggi grazie ai progressi dell’intelligenza artificiale e della microbiologia di ultima generazione.
Che cosa hanno fatto i ricercatori qui per la prima volta
Come un punto di partenza, i ricercatori hanno scelto il batteriofago ΦX174 (o phi X 174), un virus a DNA a filamento singolo che infetta Escherichia coli, composto da 5.386 nucleotidi, esso contiene tutti gli elementi genetici necessari per infettare e replicarsi. ΦX174 è il primo genoma a base di DNA ad essere sequenziato ancora nel 1977.
I modelli Evo erano stati addestrati su oltre 2 milioni di genomi di fagi e in questa fase sono stati ulteriormente raffinati per generare genomi simili a ΦX174 ma con la capacità di infettare ceppi di E. coli resistenti agli antibiotici.
Dopo aver valutato migliaia di sequenze generate dall’AI a questo scopo, i ricercatori ne hanno selezionato 302, li hanno sintetizzati e introdotti in batteri ospiti per produrre i fagi. Il risultato straordinario è che ben 16 di loro hanno mostrato la capacità di infettare e uccidere tre diversi ceppi di E. coli, che il virus naturale ΦX174 non era in grado di attaccare.
A che prezzo? Preoccupazioni e sicurezza
In sintesi, l’antibiotico resistenza in qualche modo va affrontata e i fagi potrebbero essere una risposta rapida ed efficace, ma al contempo dobbiamo essere pienamente consapevoli delle porte che questa tecnologia aprirà. “The next step is AI-generated life” dichiara sempre a Nature lo stesso Brian Hie. “Ma c’è ancora molto da fare per arrivare a quel punto” aggiunge il coautore Samuel King.
Boutade oppure no (ricordiamo che lo studio non è ancora stato vagliato da peer review), la biotecnologia affronta da tempo il cosiddetto dilemma del doppio uso. Tecnologie nate per scopi medici o di ricerca possono essere sfruttate per finalità ostili, come la creazione di agenti patogeni potenziati o l’uso in guerra biologica. Con l’intelligenza artificiale applicata alla biologia, il problema si acuisce: i modelli e i dataset possono essere diffusi su larga scala, rendendo complesso il controllo degli usi impropri. A livello normativo, la Convenzione sulle Armi Biologiche (Biological Weapons Convention) entrata in vigore cinquant’anni fa, nel 1975, stabilisce il divieto di sviluppare o accumulare armi biologiche, ma non copre ancora in modo specifico le applicazioni dell’AI. Per questo, esperti e governi chiedono aggiornamenti del trattato e la creazione di nuovi strumenti di governance, come il rilascio controllato del codice, licenze etiche per l’uso dei modelli e cooperazione internazionale per prevenire abusi e garantire che i progressi restino al servizio della salute pubblica.
A oggi Chad, Comoros, Djibouti, Eritrea, Kiribati, Micronesia, Namibia, Sud Sudan, Tuvalu e Israele non hanno firmato la Biological Weapons Convention.
Per approfondire.
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