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scienze

Antibiotici in calo negli allevamenti europei, migliorano i dati sulla resistenza batteric

Nel 2023 le vendite di antibiotici per uso veterinario in Europa sono diminuite del 25% rispetto al 2018: da 118 a 88 milligrammi per chilogrammo stimato (PCU) di animali allevati. Un calo significativo che avvicina l’obiettivo europeo, previsto dalla strategia Farm to Fork, di dimezzare le vendite entro il 2030.
I dati provengono dal report 2025 European Sales and Use of Antimicrobials for veterinary medicine dell’Agenzia europea per i medicinali (Ema) e coprono i 27 Stati membri più Islanda e Norvegia. Per la prima volta, oltre ai dati di vendita, l’Europa ha iniziato a raccogliere informazioni sull’uso effettivo di antibiotici negli allevamenti. Anche se questi dati non sono ancora disponibili, l’iniziativa rafforza il monitoraggio di un problema urgente: secondo il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (Ecdc), ogni anno oltre 35.000 persone muoiono in Europa a causa di infezioni resistenti agli antibiotici.

Negli ultimi 5 anni quasi tutti i paesi europei hanno ridotto l’uso veterinario di antibiotici. L’unica eccezione è la Lituania, i cui dati degli anni passati non sono stati verificati e potrebbero non essere accurati. Anche se il report consente confronti approssimativi tra paesi — le fonti nazionali variano dai grossisti, alla distribuzione secondaria e alle ricette elettroniche — emergono comunque variazioni geografiche significative: i paesi del Nord e Centro Europa consumano nettamente meno antibiotici rispetto all’Europa meridionale e orientale.
Per quanto riguarda l’Italia, i consumi sono ben oltre la media europea. Con 105 mg di antibiotici venduti per chilogrammo di massa animale, siamo secondi solo a Cipro (113 mg/kg), mentre la Spagna è terza (88 mg/kg). Considerando invece le vendite totali siamo terzi dopo Spagna e Polonia, nonostante il nostro settore zootecnico sia solo il quinto per peso complessivo. Il confronto con la Francia, che ha il maggior volume di animali allevati, è particolarmente sfavorevole: con allevamenti grandi meno della metà di quelli francesi, l’Italia consuma più del doppio degli antibiotici.
Nonostante le vendite elevate, l’Italia ha fatto molti progressi nel tracciamento. Dal 2019 è obbligatoria la ricetta elettronica veterinaria e, dal 2022, gli allevamenti devono registrare digitalmente tutte le somministrazioni di medicinali. Siamo uno dei sette paesi europei ad aver adottato strumenti informatici di questo tipo, inviando dati completi sull’uso di antibiotici già dal primo anno di monitoraggio.

Sono incoraggianti anche i dati sul tipo di antibiotici venduti. Ema li classifica in quattro categorie in base all’importanza per la salute umana, il rischio di resistenze e la disponibilità di alternative. Quelli di categoria D, raccomandati per l’uso veterinario, rappresentano il 65% delle vendite, mentre la categoria C, il cui uso negli allevamenti richiede maggiore cautela, copre il 29%. I farmaci di categoria B, considerati critici e riservati ai casi in cui non esistono alternative, sono il 5%. Nessun antibiotico di categoria A, vietata per uso veterinario, risulta venduto nel 2023.
Ridurre le vendite di antibiotici è il primo passo, ma stiamo ottenendo l’effetto desiderato? Sembra di sì, secondo un recente rapporto pubblicato da Ecdc e dall’Autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa) basato su dati raccolti tra il 2014 e il 2023. Lo studio ha analizzato i livelli di resistenza agli antibiotici in diversi batteri zoonotici — cioè capaci di trasmettersi dagli animali all’uomo — rilevati negli allevamenti: Salmonella e Campylobacter (C. jejuni e C. coli), i principali responsabili delle intossicazioni alimentari, ed Escherichia coli. In quest’ultimo caso si tratta di ceppi inoffensivi, che vivono normalmente nell’intestino e possono sviluppare resistenze in seguito all’uso di antibiotici nell’ospite. Per questo motivo, E. coli è usato come “sentinella” per monitorare lo sviluppo dell’antibiotico resistenza.


Per avere una panoramica complessiva, lo studio Ecdc-Efsa ha esaminato la percentuale di ceppi di E. coli sensibili a tutti gli antibiotici testati. Si tratta di un indicatore positivo: più è alto, meglio è. Tra il 2014 e il 2023 questa percentuale è cresciuta in 14 paesi (tra cui l’Italia) sui 30 analizzati, mentre è diminuita solo in Polonia. Anche in questo caso, i paesi dell’Europa meridionale e orientale mostrano i risultati peggiori.
Un altro indicatore rilevante è la percentuale di E. coli che produce particolari enzimi – detti ESBL e AmpC – in grado di distruggere le cefalosporine di terza generazione. Questi antibiotici sono di importanza critica (categoria B), perché fondamentali per trattare infezioni gravi come la meningite batterica. In questo caso l’indicatore è negativo: più è alto, peggio è. Dal 2014, questa percentuale è diminuita in 21 paesi europei (tra cui l’Italia) e aumentata in 4. Nonostante il miglioramento, l’Italia registra il secondo valore più alto d’Europa, dopo la Slovacchia e alla pari con la Romania.

Dal rapporto Efsa–Ecdc emergono anche dati meno incoraggianti: in Europa sono ancora molto diffusi i batteri resistenti agli antibiotici di uso comune (categoria D), così come le multiresistenze, cioè batteri che non rispondono a 3 o più farmaci. Inoltre, lo studio ipotizza un legame diretto tra l’uso di antibiotici negli allevamenti e lo sviluppo di resistenze negli esseri umani: le somiglianze genetiche e i livelli di resistenza osservati in ceppi batterici (principalmente Salmonella ed E. coli) sia negli animali che nelle persone suggeriscono un trasferimento lungo la catena alimentare.
Mentre il consumo di antibiotici negli allevamenti è in calo, quello umano resta invariato. Per avere un’idea dei volumi in gioco, secondo l’ultimo report dell’Agenzia italiana del farmaco (Aifa), nel 2023 l’Italia ha consumato quantità simili di antibiotici nei due settori: 651 tonnellate per uso veterinario e 597 tonnellate per uso umano. Rispetto al 2019, però, il consumo umano è aumentato del 4% mentre quello animale è calato del 6%. A livello europeo, i dati comparativi più recenti provengono da un report di Ema, Efsa e Ecdc, che riportava per il 2021 un consumo di 3061 tonnellate per gli esseri umani e 4994 tonnellate per gli animali da allevamento di 29 paesi europei. In due anni le vendite per uso veterinario si sono ridotte del 14%. Al contrario, secondo il report annuale di Ecdc, nel periodo 2019-2023 il consumo umano è rimasto sostanzialmente stabile.