Brissogne, un piccolo comune in Valle d’Aosta, ospita l’unica casa circondariale della regione: in località Les Îles, attivo dal 1984, sorge il carcere di Brissogne e Aosta. Uno dei pochi istituti italiani a non versare in una situazione di sovraffollamento.
Al suo interno, sopra la scrivania della direttrice, c’è una busta contenente le dimissioni di un giovane agente di polizia penitenziaria, in cui viene annunciata non solo la sua intenzione di lasciare il carcere di Aosta, ma quella più generale di ritirarsi dal corpo di Polizia Penitenziaria.
Nella lettera di dimissioni vengono denunciate le condizioni lavorative a cui era sottoposto il giovane: carico di lavoro eccessivo, mancanza di chiarezza nei ruoli, pessimo equilibrio tra vita personale e lavoro e, infine, tossicità nell’ambiente lavorativo, con abusi da parte dei superiori gerarchici, aggiungendo la richiesta affinché le dimissioni vengano approvate nel più breve tempo possibile.
Nel 2024, sono state 4.000 le unità di polizia penitenziarie uscite dal servizio, per raggiungimento del limite di età o per inidoneità legata allo stress da lavoro, tanto che la CGIL si è spinta a definire il fenomeno una “emorragia del personale”.
A fronte dei 4.000 agenti che hanno lasciato il loro servizio, sono solamente 2.700 le nuove assunzioni, segnando un bilancio negativo già in partenza. Ciò che è diminuito è anche la quota di desiderosi di entrare nel corpo della Polizia Penitenziaria; infatti, per la prima volta, il numero di posti messi a concorso è maggiore degli aspiranti agenti. Circa il 25% di chi vince il concorso interno per diventare sovrintendente rifiuta successivamente il ruolo, mentre il 5% lascia direttamente il corso da ispettore.
Rispetto all’anno precedente, sembrerebbe esserci un aumento del rapporto tra detenuti e agenti. Aumento che dovrebbe essere compensato dai nuovi concorsi emessi per l’assunzione di nuove unità, nonostante la scarsa partecipazione agli stessi, come evidenziato dalla CGIL precedentemente.
Nonostante in Italia si sia posto l’obiettivo di 1.5, in media, ci sono 2 detenuti per ciascun agente di polizia penitenziaria, ma il quadro è eterogeneo e sbilanciato rispetto a ogni singolo istituto. Non sono, infatti, rare le strutture che presentano un numero di agenti effettivi in surplus rispetto a quelli previsti, mentre altre si trovano in gravi deficit e devono fare i conti con le conseguenze del fenomeno.
A livello regionale, il valore effettivo rispetto al target di 1.5 detenuti per agente, varia drasticamente, passando da 1.2 a 2.5, secondo il territorio in esame: Lombardia, Lazio e Umbria, sono le regioni con il rapporto tra popolazione carceraria e unità di polizia penitenziaria più elevato, con valori rispettivamente pari 2.44, 2.42 e 2.45.
I valori variano soprattutto aumentando il dettaglio dell’analisi: esistono istituti che sfiorano i 3 detenuti per agente, come quelli di Siracusa, Aversa, Rieti, Pavia o Bollate, mentre altri vedono i propri agenti avere meno di un detenuto a testa, come avviene a Sciacca, Alba, Melfi, Fossombrone o Grosseto.
Gli istituti che presentano un numero maggiore di detenuti – è possibile osservarli dalla tabella, ordinando per “Totale_detenuti”, o dallo scatter plot, spostandosi a destra sull’asse delle ascisse – sono tra quelli che presentano anche un numero di detenuti per ciascun agente più elevato. Il carcere di Bollate, con un numero di detenuti totali pari a 1.389, presenta un rapporto tra detenuti e agenti di 2.77, rientrando tra le cinque strutture con il valore più elevato, come visto precedentemente.
Un carcere non sovraffollato non è sinonimo di carcere sano, semmai possa esisterne uno.
Il caso di Brissogne, dove, nonostante i numeri sotto controllo, un giovane agente ha deciso di lasciare il servizio, denunciando un ambiente di lavoro insostenibile, potrebbe esserne la prova.
Quel gesto potrebbe segnalare che il problema non si riduce alla quantità dei detenuti, ma riguarda la qualità del lavoro, la gestione interna e le condizioni umane dentro ciascun istituto. La carenza di personale, la scarsa attrattività del ruolo e l’inefficiente distribuzione degli agenti sul territorio nazionale stanno mettendo a dura prova l’intero sistema e il rischio è che, senza interventi concreti, la crisi continui a spostarsi da un indicatore all’altro, senza mai risolversi davvero.
Per approfondire.
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