Indica un intervallo di date:
  • Dal Al
economia

Perché l’Italia perde 41 metri cubi di acqua al giorno per ogni chilometro di rete idrica?

Nel 2020 nei città capoluogo d’Italia sono andati persi 41 metri cubi di acqua al giorno per ogni chilometro di rete idrica, ovvero poco più di un terzo del totale. Lo mostra l’ultimo rapporto Istat sull’acqua, secondo cui sono 236 i litri per abitante erogati ogni giorno nelle reti di distribuzione dei capoluoghi di provincia o città metropolitana. In 11 di essi, tutti al sud, sono state adottate misure di razionamento nella distribuzione dell’acqua.

 

Allo stesso tempo nel 2021 l’86% delle famiglie si dichiara soddisfatto del servizio idrico mentre il 65,9% delle persone di 14 anni e più è attento a non sprecare acqua. Il 28,5% delle famiglie dichiara di non fidarsi a bere acqua di rubinetto, un valore però in netto calo rispetto al 40% rilevato nel 2002. Sempre nel 2020 la spesa mediana mensile per la fornitura di acqua nelle abitazioni è stata di 14,7 euro, contro 12,6 per l’acquisto di acqua minerale.

La rete idrica presenta criticità che in alcune aree raggiungono livelli molto importanti. In capoluoghi come Chieti, Latina, Belluno o Siracusa oltre due terzi dell’acqua immessa va perduta. D’altra parte in località come Macerata, Pavia, Como, Biella, Livorno, Milano e Pordenone le perdite risultano sotto il 15%.

 

 

Come ricorda il rapporto, non tutta l’acqua immessa viene effettivamente erogata agli utenti finali. Nel 2020 sono infatti andati dispersi 0,9 miliardi di metri cubi, pari al 36,2% dell’acqua immessa in rete (37,3% nel 2018), con una perdita giornaliera per chilometri di rete pari a 41 metri cubi (44 nel 2018). Proseguendo la tendenza già segnata nel 2018, le perdite totali di rete si riducono di circa un punto percentuale. Le perdite totali di rete hanno importanti ripercussioni ambientali, sociali ed economiche, soprattutto per gli episodi di scarsità idrica sempre più frequenti.

La cause della perdita d’acqua. 

Tali perdite sono da attribuire a fattori fisiologici presenti in tutte le infrastrutture idriche, alla vetustà degli impianti, prevalente soprattutto in alcune aree del territorio, e a fattori amministrativi, riconducibili a errori di misura dei contatori e ad allacci abusivi, per una quota che si stima pari al 3% delle perdite. In più di un capoluogo su tre si registrano perdite totali superiori al 45%. Le condizioni di massima criticità, con valori superiori al 65%, sono state registrate a Siracusa (67,6%), Belluno (68,1%), Latina (70,1%) e Chieti (71,7%). All’opposto, una situazione infrastrutturale decisamente favorevole, con perdite idriche totali inferiori al 25%, si rileva in circa un Comune su cinque. In sette capoluoghi i valori dell’indicatore sono inferiori al 15%: Macerata (9,8%), Pavia (11,8%), Como (12,2%), Biella (12,8%), Milano (13,5%), Livorno (13,5%) e Pordenone (14,3%).

La classifica dei Comuni. 

In nove Comuni, tre del centro e sei del mezzogiorno, si registrano perdite totali lineari superiori ai 100 metri cubi giornalieri per chilometro di rete, generalmente superiori al 50% in termini percentuali. Nei comuni nei quali, in controtendenza con il dato complessivo, peggiora la performance del servizio rispetto al 2018, il gestore attribuisce in alcuni casi il risultato a una più corretta registrazione dei volumi (Belluno e Vicenza, ad esempio), all’eliminazione del minimo impegnato nella bolletta dell’acqua o a cambiamenti nel sistema di contabilizzazione. Dove registrata, la riduzione delle perdite è dovuta principalmente alle attività di distrettualizzazione della rete di distribuzione effettuate negli ultimi anni, che hanno consentito di ridurre le pressioni di esercizio e di rilevare le perdite occulte come per esempio a Roma e Como.

Nel 2020, sottolinea ancora Istat, il servizio di distribuzione dell’acqua potabile nei 109 comuni capoluogo di provincia o città metropolitana è in carico a 95 gestori diversi. In 100 comuni, con 17,2 milioni di residenti, la gestione del servizio è specializzata mentre nei restanti nove (600mila residenti) è prevalentemente in economia. In quest’ultimo caso è il comune che ha la responsabilità del servizio.

Come funziona la rete di distribuzione comunale. 

La rete di distribuzione dei comuni capoluogo si sviluppa complessivamente su oltre 57mila chilometri di rete, calcolati per circa l’80% della lunghezza attraverso un sistema informativo territoriale. I gestori hanno complessivamente immesso in rete 2,4 miliardi di metri cubi di acqua (370 litri per abitante al giorno) ed erogato 1,5 miliardi di metri cubi per usi autorizzati agli utenti finali, pari a 236 litri per abitante al giorno, fatturati o forniti ad uso gratuito. I volumi mossi nelle reti dei capoluoghi storicamente rappresentano il 33% circa dei volumi complessivamente distribuiti sul territorio nazionale. Rispetto al 2018 i volumi immessi in rete si riducono di oltre il 4%, i volumi erogati dell’1,6%. L’intensità dell’erogazione dell’acqua è fortemente eterogenea sul territorio perché legata alle caratteristiche infrastrutturali e socio-economiche dei comuni. Nei capoluoghi del nord, dove i volumi erogati raggiungono il massimo (256 litri per abitante al giorno in media), c’è una differenza significativa tra quelli del nord-ovest (282 litri) e del nord-est (220). Il quantitativo erogato si riduce nei capoluoghi del centro (231 litri), del sud (221), per poi raggiungere il minimo nelle città delle isole (194).

Il caso di Milano, Isernia e Cosenza

Tra i 109 capoluoghi, volumi superiori ai 300 litri per abitante al giorno si riscontrano nelle città di Milano, Isernia, Cosenza, L’Aquila, Pavia e Brescia. Di contro, sotto i 150 litri per abitante si trovano Barletta, Arezzo, Agrigento, Andria e Caltanissetta. Le variazioni in serie storica del valore degli indicatori possono dipendere da effettivi cambiamenti nella dotazione idrica, ma anche da modifiche nei criteri di calcolo dei volumi consumati ma non misurati al contatore, oltre che dai cambiamenti demografici. La pandemia da Covid-19 potrebbe aver generato modifiche nei volumi del 2020, ma è difficile individuare un rapporto diretto di causa-effetto. In alcuni capoluoghi a forte vocazione turistica, come Rimini e Venezia, si è comunque registrata un’importante riduzione dei volumi erogati di circa il 15%.