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economia

I cani, i figli e la demografia. E il senso “infallibile” della correlazione

All’inizio del 2021 Papa Francesco è tornato nuovamente sulla natalità e sul ruolo degli animali domestici (dopo essersi espresso in passato altre volte). Il Pontefice ha sostenuto che “cani e gatti occupano il posto dei figli“, lasciando intendere una sorta di correlazione tra l’affetto verso animali domestici e la denatalità che colpisce molti Paesi occidentali ma anche, ad esempio, la Cina.

Ma questa correlazione esiste davvero? Cioè, al calare della natalità vi è un fenomeno di crescita del numero di animali domestici? Ebbene, prima di rispondere andrebbe individuato bene il contesto. Innanzitutto il Santo Padre non parla a piccole comunità, ma a tutti i popoli: il nostro esercizio, invece, non ha valore universale. Poi, certamente, occorre fare delle approssimazioni, perché non esistono misurazioni complete e dirette del numero di tutti gli animali d’affezione. E, infine, che la causazione (ossia il rapporto di causa ed effetto tra i fenomeni che appaiono avere andamenti paralleli) è sempre da dimostrare.

E pur con tutti questi caveat, se guardiamo al nostro Paese possiamo dire che sì, Bergoglio ha ragione. Osservando quanto succede nelle regioni italiane, al crescere del numero di cani per 100 persone tende a decrescere il tasso di natalità. Il rapporto non è una prova conclusiva: dal punto di vista matematico la correlazione non è affatto schiacciante, eppure il grafico appare chiaro. Le prime quattro regioni dove più elevato è il tasso di natalità sono anche quelle dove più basso è il rapporto tra cani e abitanti. Viceversa, le prime tre per presenza di cuccioli sulla popolazione sono anche tra quelle dove di figli se ne fanno meno.

I dati vengono dall’anagrafe canina, raccolti dal Ministero della Salute sulla base dei valori delle singole sezioni regionali. Quelli della popolazione (il denominatore del precedente), così come il tasso di natalità, sono prodotti direttamente da IstatE i gatti? Per questi non abbiamo trovato dei dati affidabili e completi (uno dei limiti dell’analisi di cui abbiamo detto), e ci siamo accontentati di cani.

Ma la denatalità, inutile girarci attorno, non è solo un problema religioso o morale, ma anche molto materiale. Se anche non si fosse d’accordo con Papa Francesco, la situazione demografica italiana rimane allarmante. Nel corso del 2022, circa 750mila italiani compiranno 65 anni e si avvieranno verso una prospettiva di circa quindici o venti anni di età non lavorativa. Nello stesso periodo di tempo, sono solo 570mila quelli che diventeranno maggiorenni. E, sempre fino al prossimo dicembre, saranno circa 400mila i nuovi nati in Italia. Bastano questi numeri per comprendere come il rapido invecchiamento della popolazione, con la coda dei baby boomers che arrivano alla silver age e i bambini di oggi che a mala pena ne rappresentano la metà in numero, sia un problema per la sostenibilità a lungo termine dell’economia nazionale. La previsione del presidente dell’Istat Gian Carlo Blangiardo, che stima nel futuro un Paese con 30milioni di Italiani se le cose non muteranno, non è una profezia: è un calcolo. Nel 2008, in concomitanza con la prima grande crisi finanziaria del secolo, i nati in Italia da coppie non straniere erano più di mezzo milione. Nel 2020 si era scesi a 345mila, segnando un -32% in soli dodici anni.

La questione demografica, inoltre, non compare nel dibattito politico e nell’agenda pubblica. Certo, la revisione dell’assegno unico ha avuto come scopo quello di voler sostenere le famiglie con figli, riordinando un complesso sistema di detrazioni fiscali. Ma appunto la leva è stata quella di un provvedimento di natura esclusivamente finanziaria. Senza andare a cercare paragoni lontani, diversi Paesi dell’Europa occidentale, come l’Irlanda e la Francia, denotano dinamiche nettamente differenti rispetto all’Italia. Il Bel Paese, invece è all’ultimo posto nell’Unione per natalità. Anche nel 2009 eravamo indietro rispetto alla media dei 27, ma dodici anni dopo siamo passati da una differenza di 0.9 per mille ad una di di 2,3. Sarà stata tutta colpa di cani e gatti?