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cronaca

Al Nord città piccole e “belle” sul fronte dell’ecosostenibilità

Il 23° rapporto Ecosistema urbano di Legambiente e Ambiente Italia, basato prevalentemente su dati del 2015, incorona una città che al momento si sta confrontando anche con il dramma del terremoto. Parlando dei soli territori urbani, che sono il campo di questa indagine, Macerata ha subìto danni più limitati rispetto a tante altre località, ma la sua provincia è tra le più colpite, e si può solo sperare che una buona qualità ambientale (evidenziata in questo caso dal capoluogo) possa offrire qualche chance in più per ripartire.
L’indagine si basa su 17 parametri divisi nelle macroaree Aria, Acqua, Rifiuti, Energie rinnovabili e Mobilità. Macerata porta in alto il Centro Italia, ma nella top ten della classifica generale compaiono otto città medio-piccole del Nord, dal secondo posto di Verbania al decimo di Savona. Oristano, in ottava posizione, è la migliore rappresentante del comparto Sud e Isole.
Ed ecco le tabelle al centro dell’indagine, più altre riguardanti il verde urbano e il confronto dei risultati dei parametri più importanti nell’arco di cinque anni, offerte anche in versione interattiva.
Giacomo Bagnasco

Cinque anni trascorsi senza un reale cambiamento

Cinque anni. La durata del mandato di un sindaco e soprattutto, per un’amministrazione locale, un intervallo temporale adeguato per realizzare cambiamenti significativi all’interno di una città. E’ proprio partendo da questa considerazione che quest’anno, per la prima volta, Ecosistema Urbano non propone solo un confronto delle ecoperformance urbane con i 12 mesi precedenti, ma analizza un periodo più lungo valutando l’evoluzione dei valori dei capoluoghi in quattro parametri fondamentali (smog, acqua, rifiuti e trasporto pubblico) le cui variazioni dipendono direttamente dall’azione (o dall’inazione) degli enti locali.
Ebbene, guardando quello che è successo tra il 2011 e il 2015, si evidenzia come le grandi città italiane siano, dopo un quinquennio, non molto diverse rispetto al passato. Napoli, per dire, nonostante sia stata fino al 2011 in piena emergenza rifiuti, non ha colto l’occasione di questa crisi per un deciso cambio di passo: la raccolta differenziata è sì cresciuta, ma un ritmo abbondantemente inferiore all’1,5% annuo ed è ancora distante dal rispetto degli standard fissati dalla normativa. E sempre nel capoluogo partenopeo salgono a dismisura anche le perdite di rete (dal 24% del 2011 al 42% del 2015). Nella Roma quotidianamente paralizzata dal traffico, in un lustro il numero dei passeggeri trasportati da bus, tram e metropolitane (prima e vera alternativa all’auto privata e alla congestione) è rimasto uguale, anzi è addirittura leggermente diminuito. A Milano lo smog era fuorilegge all’inizio del decennio in corso, resta fuorilegge oggi; qui l’Area C ha dimostrato di essere uno strumento utilissimo per la riduzione degli spostamenti con l’auto privata, ma per incidere con più efficacia sull’aria bisognava avere il coraggio di allargarla ben oltre i confini attuali. Palermo spreca ancora più della metà dell’acqua potabile immessa in rete ed è, com’è noto, tra quei capoluoghi che non si possono certamente permettere sperpero idrico e ha ridotto il quantitativo di rifiuti raccolti separatamente (dal 10% al 7%). Insomma mentre le grandi metropoli europee si rigenerano, si rinnovano, si trasformano, le nostre sembrano tutt’ora impantanate nella gestione dell’ordinario, incapaci non solo di dar vita a profonde trasformazioni, ma anche di immaginare e progettare città diverse, più sane, più vivibili, più sostenibili, più attente alla qualità della vita degli abitanti.
Molto più dinamiche appaiono tante città medio-piccole che hanno invece, tra 2011 e 2015, mostrato mutamenti significativi. E’ ad esempio il caso di Cosenza, che ha più che raddoppiato la raccolta differenziata passando dal 21% al 50%, di Macerata (dal 43% al 74%), di Mantova (dal 40% al 77%) o di Parma (dal 48% al 72%). Poi ci sono Venezia o Brescia, dove in controtendenza rispetto all’emorragia d’utenti del resto d’Italia, i passeggeri del trasporto pubblico continuano a crescere, o c’è Verona dove il calo dell’inquinamento da Pm10 è significativo e ormai, apparentemente, consolidato. Se i casi positivi, fortunatamente, non mancano è altrettanto vero che anche tra le città di medie e piccole dimensioni ci sono Comuni immobili (vedi Pavia o Perugia) e altri che in uno o più settori fanno passi indietro.
Tuttavia il dato più significativo resta quello che emerge dalla lettura d’insieme: ci si aspetta che in cinque anni l’Italia delle città mostri trasformazioni positive ed evidenti; alla prova dei fatti l’insieme dei Comuni capoluogo è apatico, statico, privo di coraggio.
Fa da contraltare a questo scenario di pigrizia amministrativa una rinnovata vitalità sociale, un crescente numero di progetti partecipati, di reti associative, di social street, di condomini green, di cooperative di comunità. Le forme e i luoghi possono essere molto diversi, ma il principio è sostanzialmente lo stesso: nelle aree urbane, in periferia come nei quartieri centrali, c’è una tensione popolare verso un rinascimento del senso di appartenenza e uno sforzo comunitario per riappropriarsi dei luoghi e dello spazio pubblico.
Si è sviluppata spontaneamente una domanda di nuovi stili di vita nei consumi energetici, nella mobilità ciclabile, nel car sharing, nei consumi alimentari. Tutti fenomeni che partono dal bisogno di vivere meglio consumando meno; che creano mercato perché chiedono nuovi prodotti; che producono domande alle politiche locali di modificare regole e sostenere il cambiamento; che chiedono alla politica nazionale tempi e regole certe e soprattutto l’individuazione di priorità che rispondano ai bisogni dei cittadini; che avanzano domande anche al sistema creditizio perché inventi nuove modalità di finanziamento per interventi nei condomìni, nei quartieri, negli edifici pubblici. C’è un mondo che chiede cambiamento, che là dove può se lo inventa, che quando c’è l’offerta da parte delle istituzioni lo abbraccia con entusiasmo e che così facendo crea lavoro e sostiene l’innovazione. C’è un mondo in movimento che crea economia sana – green – e reclama dai decisori pubblici (locali e nazionali) scelte, coraggio, cambiamento. Ai sindaci il compito di raccogliere questa sfida e di non passare altri cinque anni a fare solo piccoli passetti avanti.
Alberto Fiorillo e Mirko Laurenti