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politica

Le coppie che convivono sono sempre di più, ma spesso restano senza diritti

Le coppie che coabitano sono in crescita in Italia, ma restano prive di molti diritti e opportunità. Secondo l’ultimo rapporto di Eurofound, una fondazione europea pubblica che si occupa di politiche sociali, circa il 7% degli italiani e delle italiane coabita con il proprio partner, un valore in effetti minore che nel resto d’Europa ma che comunque include milioni e milioni di persone senza particolare protezione legale.

Come ricorda la fondazione, un quarto delle famiglie in Europa è ormai composta da due persone in rapporto fra loro, un valore in crescita lenta ma costante a causa sia dell’aumento dell’aspettativa di vita (che rende più probabile la sopravvivenza congiunta dei partner), sia perché nelle famiglie sta diminuendo il numero di figli avuti. E tuttavia di rado le coppie vengono considerate “famiglie” a meno che siano sposate, il che però esclude un numero sempre maggiore di persone fra cui – anche se non solo – le non eterosessuali.

 

 

Il rapporto sottolinea che la coabitazione, a intendere le coppie che vivono insieme senza essere sposate, appare in crescita un po’ in tutte le nazioni sviluppate. A volte, in particolare nell’Europa orientale e meridionale, essa viene vista come una tappa di passaggio verso il matrimonio vero e proprio, e così le coppie tendono a vivere insieme per alcuni anni prima di sposarsi. In altre nazioni al contrario la coabitazione viene considerata uno stile di vita permanente.

Dietro questo cambiamento, ipotizzano i ricercatori, possono esserci diverse spiegazioni. Alcuni studi hanno notato che la coabitazione tende a crescere di pari passo con il livello di istruzione delle donne, e tuttavia in diverse nazioni quando hanno studiato per maggior tempo tendono anche a essere sposate più spesso.

Un ruolo potrebbe averlo anche la famiglia di provenienza. È stato trovato infatti che la coabitazione è più frequente se i propri genitori sono separati o divorziati, oppure più in generale se essi tendono a vedere senza problemi le donne non sposate o senza figli. Questo non sembra valere solo per i figli, ma anche per chi viene coinvolto direttamente dalla separazione, che spesso diventa più “scettico” del matrimonio nelle relazioni seguenti. Il legame fra divorzi e convivenze si vede piuttosto bene in diversi studi, e per esempio in Italia (considerata comunemente come “tradizionale”, secondo gli autori) troviamo un basso numero sia di divorzi che di convivenze; al contrario andando verso nord o verso ovest questi due fenomeni crescono insieme.

Esiste poi anche evidenza di una separazione culturale di natura geografica che divide l’Europa da ovest a est, dove nella prima le coppie coabitano spesso anche per lunghi periodi di tempo e in alternativa al matrimonio, mentre andando verso oriente la coabitazione prima delle nozze tende a diventare più breve.

“La crescita delle coabitazioni dal 2007 al 2017 è stata pressoché universale in Europa”, si legge, “con i maggiori aumenti in Bulgaria e Estonia (+7 punti percentuali) nonché fra le coppie con figli in Francia (+11 punti)”. L’Italia per parte sua fa un po’ caso a parte: se le coppie che convivono in dieci anni sono senz’altro aumentate, ma per esempio in Francia sono quasi cinque volte di più e il doppio in Spagna – nazione quest’ultima dove la situazione economica e culturale non è poi tanto differente.

Ma che effetto ha questo fenomeno sulle coppie stesse? Dati relativi al 2016 mostrano che le coppie conviventi dicono di essere leggermente più soddisfatte della propria vita rispetto a quelle sposate (7,7 punti contro 7,5, in una scala da uno a dieci), e questo è risultato vero in particolare per gli uomini. I e le conviventi si sono detti anche più ottimisti verso il futuro, elemento che questa volta è risultato più forte per le donne, mentre d’altra parte sia gli uni che le altre hanno anche espresso un livello leggermente minore di soddisfazione per la vita familiare. Al di là della coabitazione in sé, sottolineano gli autori, un ruolo in questa differenza potrebbe averlo anche l’età: le coppie che coabitano tendono infatti a essere più giovani.

La ricerca sembra poi aver trovato anche qualche piccolo problema, sotto altri aspetti, nelle coppie che coabitano rispetto alle sposate, per esempio rispetto ad alcune metriche che cercano di misurare la soddisfazione per la propria vita familiare.

Il rapporto si sofferma in particolare sui diritti di queste persone, che nella maggior parte delle nazioni sono inferiori rispetto a quelli di chi si sposa. E tuttavia con il declino nel numero di matrimoni o poiché essi avvengono sempre più tardi “alcuni Paesi hanno introdotto politiche che riconoscono la coabitazione e offrono un qualche genere di protezione” alle coppie che la praticano.

 

Questo succede, con forme e intensità diverse, un po’ in tutte le principali nazioni europee (Francia, Spagna, Germania, solo per citarne alcune) con però l’eccezione dell’Italia, dove l’unico caso è quello delle unioni civili per coppie dello stesso sesso. Il problema più immediato cui si rivolgono queste politiche, sottolineano gli autori, consiste nel proteggere dal rischio di diventare poveri o restare senza casa in caso di morte o separazione – fattore che “potrebbe interessare un numero considerevole di persone” proprio perché la coabitazione sta diventando sempre più comune.

Un caso particolarmente delicato è quello delle coppie composte da persone dello stesso sesso, che secondo diverse ricerche “soffrono regolarmente di discriminazione sul lavoro, nell’istruzione, nell’accesso alla sanità, alla casa o ad altri servizi pubblici”. Questo è un punto dolente in Italia, che resta oggi l’unica nazione dell’Europa occidentale dove questo genere di coppie non gode di identici diritti e del riconoscimento come famiglia al pari di quelle formate da persone eterosessuali. Per citarne solo alcuni troviamo invece gli stessi diritti – matrimonio e adozione inclusi – in Portogallo, Spagna, Regno Unito, Francia, Germania, Olanda, Belgio, Danimarca e Austria.

In generale, in Europa l’età media di chi vive con una persona dello stesso sesso è “leggermente minore della media (47 anni contro 52)”. Minore anche il numero di famiglie omosessuali con figli, che è il 25% del totale rispetto al 38% di tutte le coppie, e così la fetta di legami matrimoniali che cala dall’84% al 55%. Dal punto di vista della frequenza del lavoro non risultano particolari differenze, mentre il tasso di disoccupazione è risultato leggermente maggiore (7% contro 5%) nelle coppie omosessuali. Anche indicatori che misurano la povertà appaiono tutto sommato simili, a indicare differenze materiali non così marcate.

Dove invece emergono le difficoltà è in alcune misure relative alla salute fisica e psicologica, che mostrano come nelle coppie dello stesso sesso le malattie croniche siano più comuni, come anche le visite più frequenti dal medico. Questo, ricorda il rapporto, “fa eco a ricerche precedenti che mostrano come partner dello stesso sesso siano soggetti o soggette a un maggior rischio verso alcune malattie”, in particolare di tipo psicologico che potrebbero essere causate da intolleranza e discriminazione.

Certamente c’è evidenza che queste persone sentano su di loro il peso della discriminazione. Mettendole a confronto con le coppie formate da persone eterosessuali, se proviamo a misurare quanto si sentono escluse a livello sociale emerge una differenza significativa. Allo stesso tempo cala anche il supporto percepito ricevuto dalla famiglia (13% contro il 21% delle famiglie composte da persone di sesso diverso), o da famiglia e amici insieme (24% contro il 39%).

“Politiche relative alle coppie dello stesso sesso”, conclude Eurofound, “possono avere un effetto sulle persone lesbiche, gay, transessuali e bisessuali rispetto alle regole relative a adozioni, eredità, e indennità economiche, oltre che avere un ruolo nel ridurre discriminazione e esclusione sociale: ricerche precedenti hanno mostrato che l’accettazione di queste persone promuove la salute fisica e mentale delle coppie che vivono insieme”, un passo in avanti che potrebbe estendersi – attraverso il capitale sociale – anche alle coppie di sesso opposto.