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finanza

Chi sono (e cosa fanno) le 10mila startup italiane? Le mappe

Il 2019 potrebbe essere l’anno delle startup. Il Governo si è dato come obiettivo quello di portare in questo ecosistema un miliardo di euro mobilitando anche risorse della Cassa depositi e prestiti e di soggetti istituzionali come enti previdenziali.  Ora che potrebbero arrivare più soldi dal nuovo venture capital è tempo di guardare bene negli occhi chi sono gli startuppers in Italia. A distanza di sei anni dall’introduzione della startup innovativa all’interno dell’ordinamento giuridico – inaugurata sotto l’allora Governo Monti e che aveva come obiettivo lo sviluppo di un sistema di agevolazioni fiscali con la volontà di promuovere sia crescita sostenibile che sviluppo tecnologico legato ai giovani – queste nuove realtà aziendali hanno finalmente raggiunto una quota a cinque cifre.

Grazie ai numeri pubblicati dall’apposito portale del Registro delle Imprese, noi di Infodata abbiamo dato un’occhiata allo scenario che si presenta oggi in Italia.

 

Distribuzione geografica

 

 

Milano capitale delle startup

Come è logico che sia per la maggior parte delle aziende, anche per le startup siamo in presenza di una forte concentrazione nei pressi dei centri urbani più importanti del paese, come Milano e Roma.

Storicamente i soldi del venture capital sono nel Nord. Se il capoluogo lombardo risulta infatti primo in assoluto con oltre 1700 nuove imprese che equivalgono a più del 17% sul totale nazionale, la capitale romana è l’unica altra città in grado di sforare quota mille (pari al 10% complessivo) visto che in terza posizione compare Napoli (358), ben staccata dalla coppia di testa, precedendo Torino (321) e Bologna (318). E il dato è interessante perché con la nuova configurazione del venture capital voluta dall’attuale Governo il baricentro potrebbe spostarsi anche nella Capitale.

Ragionare sui numeri assoluti è chiaramente riduttivo tenendo conto che ci sono realtà molto differenti tra di loro; basti pensare che, per esempio, ci sono almeno nove province in cui il numero delle startup non arriva nemmeno a quota dieci.

 

Nella seconda mappa proposta, le province italiane sono state colorate in base al numero di startup per ogni centomila abitanti (verde per valori superiori alla media di 13,78, rosso per quelli inferiori) in modo da normalizzare volumi di popolazione che, diversamente, risulterebbero poco comparabili.

Milano resta senza troppa sorpresa in testa anche per questa graduatoria (55,06), così come Roma mantiene un valore abbondantemente sopra la media (23,18), mentre il caso di Napoli è uno tra i più significativi esempi di controtendenza per via di un dato sotto il riferimento nazionale (11,52).

Ma esiste una coda lunga degli innovatori..

Per contro, tra le province più attive in funzione del numero di abitanti, spuntano piccole realtà come Ascoli Piceno (seconda con 47,74) e Rovigo (36,05) che insieme a Rimini (32,07), la già citata Bologna (31,51) e Trento (30,26) compongono il sestetto caratterizzato dall’aver un valore superiore al doppio della media nazionale.

Chi lavora davvero nelle startup? Chi sono gli innovatori? 

 

 

 

Per essere considerata una startup innovativa, oltre ad alcuni aspetti prettamente burocratico/legali, una nuova azienda deve soddisfare almeno uno tra una lista di tre requisiti in modo da poter tener fede ad un oggetto sociale che preveda “lo sviluppo, la produzione e la commercializzazione di prodotti o servizi innovativi ad alto valore tecnologico”.

Nel dettaglio, il primo orbita intorno alla propensione verso la ricerca e lo sviluppo, imponendo infatti che a questo tema venga dedicato almeno il 5% del valore maggiore tra costi e produzione.
La maggior parte delle aziende centra questo obiettivo come dimostra il 64,49% dei casi, risultando di fatto il requisito più comune tra i tre possibili visto che per il secondo e il terzo le percentuali sono decisamente più basse.

Il secondo requisito, vale a dire la composizione dell’organico aziendale caratterizzata da almeno 2/3 di possessori di laurea magistrale oppure da 1/3 di profili con un’attività comprovata di ricerca, raggiunge il 26,34%, mentre il terzo, incentrato sull’essere depositari di brevetti o titolari di software registrato, si ferma al solo 17,23%.

 

Interagendo con le tre torte per filtrare i risultati in maniera combinata, selezionando le “fette” verdi è possibile ottenere il numero delle aziende che soddisfano tutti e tre i requisiti, anche se, come presumibile dai valori percentuali iniziali, i soli 163 casi sono un sottoinsieme davvero elitario.

 

 

Dimentichiamoci i numeri della Silicon Valley.. 

 

 

Benchè alcuni numeri siano in parte non disponibili, tra i dati pubblicati ci sono anche tre classificazioni che vertono su ammontare del capitale, numerosità dell’organico e volume della produzione. Osservando i grafici è evidente che le realtà italiane non sono di certo paragonabili allenostre aziende di cui si sente parlare nei notiziari mondiali o dalle cui vicissitudini sono ispirati libri e film.

Prendendo per ogni classificazione il valore più rappresentativo (eccezione fatta per i dati non disponibili), tra le realtà emergenti italiane il “profilo tipo” dell’azienda è caratterizzato da un organico fino a quattro persone (30,86%), una produttività stimata entro i centomila euro, con un capitale che oscilla tra i cinque e i dieci mila euro (42,17%).

 

Sia chiaro: esistono anche realtà che hanno assunto un carattere decisamente più strutturato, ma rappresentano una percentuale piuttosto contenuta di tutto il panorama italiano.

Focalizzandosi infatti sul dato del capitale, quello più completo, c’è una piccola nicchia di startup (complessivamente poco meno dll’1% sul totale) che può vantare valori superiori al milione di euro, equamente suddivisa tra comuni di tutte le parti d’Italia senza particolari distinzioni geografiche.

Molto, forse  troppo software..

 

Come è logico che sia la maggior parte dell’aziende censite opera nel settore dei servizi (76,10%) all’interno del quale quasi la metà (45,19% relativo) orbita attorno alla produzione di software.

Oltre ai servizi, l’unico altro settore avente delle realtà caratterizzate da un alto valore tecnologico in ambito energetico è quello dell’industria/artigianato.

 

Come riportato nel grafico a torta, solo il 14,24% delle startup italiane ha questo tipo di caratteristica e, come ipotizzabile, gli ambiti di competenza sono appunto i due sopra citati per un ammontare complessivo di 1430 aziende totali.

 

 

Le nuove startup sono più tech… 

Oltre all’incoraggiante crescita costante (dal 2013 ad oggi) relativa alle iscrizioni complessive presso la sezione del registro delle imprese, è particolarmente interessante notare come il maggior numero di aziende dall’alto valore tecnologico si sia iscritto negli ultimi mesi (46 a Gennaio 2019, 45 a Dicembre 2018 e 41 a Febbraio 2019), segnale che potrebbe essere di buon auspicio per una possibile svolta tecnologica su uno dei fronti di maggiore interesse a livello globale.

Per quanto riguarda la composizione del personale, momentaneamente non paiono esserci aziende con una spiccata prevalenza di alcun genere in particolare.

Solo l’8% delle startup sono “giovani” inside

Tra le possibilità riportate nei numeri pubblicati, forse l’unico accenno di tendenza  potrebbe essere riconducibile alla presenza di giovani che risulta esclusiva nel 8,87% dei casi, forte nell’8,35% o maggioritaria nel 2,71%, dati lievemente superiori sia allo studio sulle donne (NO alla prevalenza con 80,23%) sia soprattutto al dettaglio sugli stranieri (NO al 91,16%).

 

 

 

 

Ha collaborato @lucatremolada

Articolo uscito a marzo 2019