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politica

Decreto dignità e lotta al precariato: perché i conti non tornano?

Come succede a cadenza regolare, qualche giorno fa l’Inps ha pubblicato statistiche aggiornate sui contratti di lavoro, che includono fra l’altro i numeri su quante sono state le assunzioni sia a termine che a tempo indeterminato.

Diverse persone del Governo o simpatizzanti  hanno festeggiato mettendo in relazione questi dati al decreto dignità; provvedimento che secondo Luigi Di Maio avrebbe “dato un colpo mortale al precariato”.

E infatti si nota, tra gli altri, il commento dell’economista Pasquale Tridico, vicino proprio al Movimento, che il 22 novembre su Twitter scrive: “I dati dell’Inps usciti oggi. La giusta direzione. Più contratti a tempo indeterminato, meno a tempo determinato. La prima inversione di tendenza”, con tanto di hashtag #DecretoDignità. Allegata al tweet una schermata tratta proprio dai dati INPS, che dimostrerebbe gli effetti del decreto dignità sul lavoro italiano.

Eppure i conti non tornano: intanto perché, come si vede dall’immagine stessa, le statistiche considerano i contratti da gennaio a settembre 2018 e mettendoli a confronto con l’identico periodo dell’anno precedente. Il Governo Conte però ha inizio soltanto a giugno, con il decreto dignità che invece arriva circa un mese dopo. Difficile allora capire come possa avere avuto effetti prima che ancora se ne discutesse.

 

 

Ma il motivo principale per cui c’è poco da festeggiare è un altro, e cioè che le cose stanno andando esattamente al contrario di quanto auspicato da Di Maio. Mentre questo governo era in carica, in realtà, il numero di persone con un contratto a termine ha raggiunto il massimo storico da che vengono registrate statistiche.

 

Lo mostrano gli ultimi numeri  resi noti dall’Istat, secondo i quali proprio a settembre i lavoratori a tempo determinato sono arrivati alla cifra record del 17,5% di tutti i dipendenti, con solo un lievissimo calo poi a ottobre. In altri termini, la dualità del mercato del lavoro fra chi gode di più tutele e chi no –  problema profondo e storico nel nostro paese – risulta oggi più profonda che mai.

 

Sarebbe un errore incolpare interamente l’attuale governo – o per quello che vale diversi dei precedenti – di questo fenomeno. Si tratta di un cambiamento che, anche se a velocità diversa, sta avvenendo anche altrove in Europa, né la politica può imporre alle aziende di assumere o licenziare.  Le modifiche previste dal decreto dignità, d’altra parte, sono entrate effettivamente in vigore solo dal 1 novembre.

Chiarito questo, sarebbe ingenuo pensare che le azioni della maggioranza non contino nulla: gli imprenditori leggono i giornali come tutti, e quando si tratta di prendere decisioni per la propria azienda anche le aspettative contano parecchio. Se essi non prevedono condizioni favorevoli, in futuro, possono benissimo rimandare eventuali assunzioni già oggi, anche se la legge resta identica. Neppure aiuta il peggioramento della congiuntura economica, con l’economia italiana che rallenta da mesi.

Per parte sua, il nuovo record dei lavori a termine arriva dalla somma di due tendenze opposte. Da un lato gli occupati a tempo indeterminato sono deciso in calo dalla tarda primavera, e proprio a settembre sono arrivati al minimo da fine 2015. Questo pone fine a un periodo di espansione durato circa due anni e mezzo, da inizio 2015 fino all’estate del 2017.

 

 

 

Da quando invece si è conclusa la recessione italiana gli occupati a termine non hanno fatto che aumentare, e rappresentano in effetti la parte maggiore nel nuovo lavoro creato di recente: circa 800mila persone in più da febbraio 2016 fino a settembre scorso, e grosso modo il doppio dei lavoratori con invece un contratto a tempo indeterminato.

 

 

Mettendo insieme i due movimenti, emerge con chiarezza il sentiero del mercato del lavoro italiano sotto il governo Conte: ovvero al contrario delle promesse di un significativo calo degli occupati a tempo indeterminato, e insieme un aumento di quelli a termine.

Dal momento in cui il Governo è entrato in carica, in effetti, abbiamo assistito a una delle cadute più forti del lavoro indeterminato negli ultimi anni – per la precisione da giugno a settembre –, e solo con gli ultimissimi dati di ottobre troviamo un piccolo recupero.

Meglio ribadirlo: nessun governo possiede leve magiche che migliorano la qualità del lavoro, e gli effetti delle politiche richiedono tempo per avere effetti – buoni o cattivi che siano. Ma anche così resta difficile capire quali sono, oggi, questi brillanti risultati da festeggiare.