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economia

Cosa è la sostenibilità aziendale? Le imprese restano pigre

Nei giorni scorsi Oxfam ha pubblicato il rapporto Walking the Talk 2018, che analizza quello che 76 fra le maggiori aziende private del mondo stanno facendo per abbracciare gli Obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite, i cosiddetti Sustainable Development Goals (SDGs), adottati ormai da tre anni quale griglia comune di riferimento per la messa a punto delle politiche e private dei prossimi 15 anni.

Il bilancio secondo le valutazioni di Oxfam sembra essere per il momento negativo: nel complesso l’introduzione degli SDGs non ha modificato l’approccio delle imprese alla sostenibilità aziendale. Solo in un paio di casi le aziende hanno inserito i 17 Obiettivi all’interno delle linea guida per la definizione della propria strategia di sostenibilità. Circa la metà di esse dispone di informazioni su nuove azioni o obiettivi correlati ai 17 Obiettivi.

Delle 76 imprese considerate, 29 non hanno ancora preso impegni pubblici sull’Agenda 2030 e meno della metà di chi l’ha fatto, 21 aziende, in realtà collega la propria strategia con gli SDGs in maniera piuttosto debole, senza riferimenti precisi all’uno o all’altro obiettivo. Lo scopo degli SDGs è invece quello di tradursi in azioni pratiche che intervengano a livello anche governativo e per questo ognuno di questi 17 obiettivi si articola in target più specifici, per un totale di 169 target complessivi. Parlare di “sostenibilità” o citare aree di sostenibilità dunque non basta per poter dire di aver integrato l’Agenda 2030 all’interno della propria strategia aziendale.

I principali indicatori considerati sono stati se l’impresa ha pubblicato una dichiarazione significativa sugli SDG, se ha definito come prioritaria una serie di specifici obiettivi, se considera alcuni di essi prioritari rispetto ad altri, se fornisce una motivazione sulle modalità di scelta di questi prioritari, se utilizza lo schema dell’Agenda 2030 per scegliere le aree di intervento nell’ambito della sostenibilità, e se pubblica rendicontazioni del proprio impegno verso gli SDG.

È emerso che delle 47 aziende che si sono dichiarate pubblicamente impegnate sul fronte degli SDGs, 24 sono riuscite in questi primi tre anni a integrare gli SDGs all’interno delle loro strategie di sostenibilità, e sono state quindi in grado di elencare nel questionario attività e iniziative concrete messe in campo. A queste se ne aggiungono due che sono riuscite a fare il passo successivo: hanno cioè rimodellato le proprie strategie intorno agli SDGs.

Non tutti gli obiettivi però sono ugualmente coperti. Gli SDGs maggiormente inclusi nelle pianificazioni delle aziende sono ovviamente l’obiettivo 8 (lavoro dignitoso e crescita economica e l’obiettivo 12 (consumo e produzione responsabili), a cui si affiancano in misura minore l’obiettivo 5 (parità di genere) e – buona notizia – il tredicesimo obiettivo, che riguarda l’attenzione al cambiamento climatico. Meno attenzione invece viene data all’obiettivo uno, combattere la povertà, al decimo (ridurre le fonti di disuguaglianza) e al sedicesimo (giustizia, pace e istituzioni forti). Meno del 20% delle aziende inoltre connette esplicitamente il proprio impegno sul tema dei diritti umani, fra cui la parità di genere, con gli SDGs.

È evidente che a essere marginali nel settore privato studiato sono gli obiettivi meno immediati, quelli che portano benefici all’azienda prevalentemente in maniera indiretta.
Non tutte le decisioni e gli investimenti necessari per raggiungere gli SDG si tramutano infatti in un ritorno rapidamente monetizzabile. “Un limite per l’integrazione degli SDGS nelle strategie di sostenibilità aziendale è rappresentato dalla pressione che gli investitori mettono ai dirigenti aziendali per generare profitto nel breve termine” si legge nel rapporto di Oxfam. “Ad oggi, molte imprese hanno faticato a giustificare l’investimento negli SDG a causa della ‘tirannia del breve termine’”.

“In questo la società civile può e deve avere un ruolo fondamentale” ci spiega Marta Pieri di Oxfam Italia. “Così è stato per esempio con gli oltre 700mila consumatori che aderendo alla campagna di Oxfam “Behind the Brand” hanno obbligato Coca-Cola ad affrontare le violazioni dei diritti umani documentate nella loro filiera dello zucchero adottando nuove regole e controlli più severi per difendere il diritto alla terra dei coltivatori, e portato General Mills and Kellogg a fissare degli obiettivi precisi di riduzione delle emissioni dannose per l’ambiente nella loro produzione agricola coinvolgendo gli stessi loro fornitori in questo ambizioso piano di miglioramento. Non è un bel momento questo – conclude Pieri – gli spazi di azione e dialogo della società civile sono sempre minori, e quindi a maggior ragione dovremo essere tutti più preparati e determinati per farci ascoltare.”