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L’assalto delle startup al nuovo business della musica. Ecco i piccoli giganti italiani

Non è più la stessa musica, è proprio il caso di dirlo. Nel corso degli ultimi 20 anni, il mercato discografico ha subito, infatti, profondi cambiamenti. A mutarne il volto sono intervenute prima le nuove tecnologie informatiche, e poi – più recentemente – grandi trasformazioni nel modo in cui i consumatori fruiscono la musica. A operare questa rivoluzione sono stati spesso soggetti che fino a 10 anni fa non esistevano nemmeno e che, tuttavia, in poco tempo, sono stati capaci di affermare rivoluzionari modelli di business. In Italia, per esempio, la startup musicale Soundreef, è riuscita a scardinare il monopolio della Siae – la società italiana degli autori ed editori – che durava da quasi due secoli. La startup ha dato vita, infatti, a un ente di gestione alternativo che opera autorizzando le imprese a utilizzare e diffondere musica in esercizi commerciali ed eventi live, e che raccoglie e distribuisce compensi per conto di autori, editori, etichette discografiche e artisti. Si tratta di una rivoluzione che la startup ha iniziato a Londra (dove è basata) nel 2011 a partire da un’idea degli italiani Davide d’Atri e Francesco Danieli. Oggi, a 7 anni di distanza, Soundreef opera in più di 20 Paesi nel mondo e amministra il repertorio di oltre 25mila autori ed editori, di cui 11mila in Italia. Un “capitale” che ha convinto gli investitori, tanto che si vocifera da mesi che la startup sia prossima a un aumento di capitale da 20 milioni di euro.
Ma la prima startup che ha fatto capire agli investitori di tutto il mondo che la musica non è solo un hobby per appassionati ma anche per venture capitalist, è stata Spotify. Si tratta della startup svedese che ha creato il più noto servizio di streaming musicale, che è stato capace, nel giro di pochi anni, di competere con colossi come Apple e Amazon, e di diventare uno dei più importanti unicorni europei. Spotify – fondata nel 2006 a Stoccolma da Daniel Ek e Martin Lorentzon – ha infatti superato in fretta il miliardo di dollari e si è progressivamente ingrandita attraverso 12 acquisizione di altrettante startup che le hanno consentito di aumentare i servizi offerti agli utenti. Se infatti nel 2015 l’ex startup veniva valutata 8,5 miliardi di dollari, oggi, dopo il recente scambio azionario con la cinese Internet Tencent che potrebbe aprirle il grande mercato dei consumatori cinesi, Spotify sembra valerne almeno 20. E sarebbe pronta a sbarcare a Wall Street. Lo scorso dicembre, Spotify ha, infatti, annunciato di voler precedere con la quotazione (prevista tra marzo e aprile) dei propri titoli al New York Stock Exchange con una procedura diretta (direct public offering, Dpo). Un sistema che a differenza delle normali Ipo, consente alla società di raccogliere capitale, senza che una banca o un broker faccia da sottoscrittore. Il successo dei servizi streaming come Spotify a discapito delle vendite di album sia digitali che fisici, trova riscontro anche nell’ultimo report realizzato da Nielsen sul settore musicale. Secondo la ricerca, oggi i servizi di on demand audio streaming rappresentano il 54% del consumo totale di file audio, con una crescita del 58,7% rispetto al 2016. Si tratta di numeri che danno solo un’idea del valore del settore delle startup musicali su cui mancano però dati ufficiali visto che finora non è stato prodotto nessun report o mappatura. Eppure si tratta di un mercato attivo che interessa soprattutto i corporate venture capital dei colossi tecnologici, come ha dimostrato l’acquisizione di Shazam (l’app per identificare le canzoni) nel dicembre 2017, da parte di Apple che l’ha rilevata per 400 milioni di dollari. E come ha messo in luce anche un’altra operazione a novembre 2017: l’investimento da 70 milioni di dollari fatto su UnitedMasters (una startup che offrire ai musicisti un’alternativa alle grandi etichette discografiche, distribuendo musica via web, su piattaforme di streaming e attraverso YouTube) da parte di Alphabet (la holding a cui fa capo Google), del fondo di venture capital Andreessen Horowitz e della 20th Century Fox. Tornando all’Italia, il panorama nazionale annovera – oltre a Soundreef – diverse startup che hanno scelto di concentrarsi sulla musica tra cui Musixmatch, Musicraiser e Mogees. Quest’ultima in particolare è diventata famosa per aver applicato il machine learning alla musica creando così una tecnologia (basata su un sensore di vibrazioni e un software musicale) capace di trasformare qualsiasi oggetto in uno strumento musicale. L’impresa ha lanciato finora tre round di finanziamento (l’ultimo del valore di oltre un milione di sterline risale allo scorso maggior), raccogliendo in totale quasi 3 milioni di dollari.