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finanza

Ottomila startup in Italia e solamente il 6% fallisce

A tutto il 30 settembre 2017, nella sezione speciale del Registro delle Imprese, risultavano iscritte 7.854 startup innovative, 460 in più rispetto al consuntivo di fine giugno. A fine ottobre si è superata quota 8mila. L’aumento della popolazione complessiva delle nuove imprese si specchia in un altro dato che attesta, almeno sulla carta, un’importante accelerazione del percorso di crescita dell’ecosistema, quello relativo al valore della produzione. Detto che i bilanci dell’esercizio 2016 disponibili coprono circa il 58% della popolazione attiva, il fatturato aggregato delle startup iscritte nel registro ha sfondato l’anno passato il tetto dei 700 milioni di euro (726,1 milioni più precisamente), superando di gran lunga i 414 milioni contabilizzati nei bilanci 2015.
L’ultima edizione del rapporto trimestrale sulle startup innovative italiane redatto dal ministero dello Sviluppo Economico e da InfoCamere in collaborazione con UnionCamere, ha fatto il consueto punto della situazione sullo stato di salute delle nuove imprese, offrendo diversi motivi per pensare in positivo. Osservando gli indicatori finanziari, per esempio, spicca il giro d’affari medio per startup, salito nel 2016 a circa 160 mila euro, 45mila in più rispetto alla penultima rilevazione. Numeri ancora limitati in valore assoluto, che si specchiano in un capitale sociale complessivamente sottoscritto di poco superiore ai 380 milioni di euro (una media di circa 48mila euro per impresa), ma la tendenza al rialzo va comunque registrata. Molto interessante, in prospettiva, è l’indice che misura la tendenza a investire: il rapporto tra immobilizzazioni e attivo patrimoniale è al 26,8%, percentuale otto volte più grande rispetto a quella media delle altre 1,6 milioni società di capitali italiane. Le notizie positive, in chiave economica, finiscono però qui. Il reddito operativo complessivo fatto registrare nel 2016 dalle startup innovative è infatti negativo per poco meno di 84 milioni di euro (contro i 63,5 milioni relativi ai bilanci 2015) e la maggioranza delle società iscritte nel Registro (il 57,3%) ha chiuso l’esercizio 2016 in perdita, confermando lo scenario registrato dodici mesi prima.
Altri dati elaborati da Infocamere ci guidano invece a capire la mortalità delle startup innovative italiane, tema che sarà ampiamente descritto, come hanno confermato al Sole24ore i portavoce del Mise, nella Relazione Annuale 2017 sullo Startup Act che verrà presentata al Parlamento entro la fine dell’anno dal ministro Carlo Calenda.
Al 30 giugno 2017, le nuove imprese “cessate” erano 479 (il 5,1%), più o meno equamente divise a livello geografico, rispetto alle 7.400 presenti in elenco (oltre 1.400 aziende sono uscite dal Registro portando il totale storico a 9.300). Il Trentino Alto Adige presenta la percentuale più alta di aziende fallite (il 9,4% su complessive 308) mentre la Lombardia si ferma al 4,7% (98 su 2.100). Tre quarti delle startup che hanno terminato l’attività, parliamo di circa 360 imprese, avevano un valore della produzione inferiore ai 100mila euro e solo sette hanno chiuso i battenti pur fatturando oltre i 500mila euro. Cosa ci dicono queste percentuali? Riflettono la cronica mancanza di risorse (capitale, competenze e infrastrutturali) necessarie per supportare le nuove imprese nei primi mesi/anni di vita? Il livello di mortalità delle startup italiane, inoltre, è da considerarsi “normale”, in linea con i parametri degli ecosistemi di riferimento? A detta di Gianluca Dettori, chairman di Primomiglio Sgr (suo il fondo di investimento Barcamper Ventures destinato alle nuove imprese tecnologiche ad alto potenziale) è difficile dare una risposta precisa e fare valutazioni specifiche: «Non si può comparare i dati italiani con i benchmark di Francia, Stati Uniti, Israele e altri Paesi. Il pacchetto normativo dedicato alle startup innovative ha moltissimi elementi positivi, lo considero buono se raffrontato alle policy di altre nazioni europee ma ha anche imposto una definizione legale di startup non necessariamente coincidente con la definizione che comunemente si intende a livello internazionale, e finalizzata a costruire un meccanismo di accesso al pacchetto stesso». L’universo italiano delle startup ha quindi caratteristiche peculiari, riflette un particolare tessuto economico e dà la sensazione di essere in cerca di una sua vera e definitiva identità. Più importante del tasso, per altro molto basso, di mortalità registrata e che va oltre l’ancora (molto) limitata dimensione dei fatturati prodotti.