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tecnologia

Perché le startup del turismo valgono solo 18 milioni di euro?

Poco più di un quarantesimo. È questo, in proporzione, il rapporto tra i finanziamenti ricevuti da startup italiane e internazionali nel settore del turismo: 18,7 milioni di euro raccolti da neoimprese della Penisola nel 2016 contro i 703 milioni di euro mobilitati da investitori istituzionali esteri tra 2014 e 2016. Un gap che si fa ancora più evidente se si considera che il dato italiano è spinto all’insù da una manciata di casi di successo, come la guida interattiva Musement (un round da 10 milioni di euro nel 2016), il servizio di prenotazione di hotel a ore Daybreakhotels (4,3 milioni) la piattaforma per l’organizzazione di viaggi in barca Sailsquare (1,3 milioni) e il sito di pianificazione vacanze Wanderio, che non fornisce dati sul round Series A chiuso l’anno scorso.
Nel complesso, il totale di finanziamenti all’innovazione turistica è pari a poco più del 10% dei capitali riversati in startup hi tech su scala italiana. Ma il paragone si fa anche più scomodo se si prendono in considerazione i finanziamenti da venture capitalist su scala europea. Secondo la società di ricerca Cb Insights, l’Italia non compare neppure tra i primi cinque Paesi per investimenti ricevuti, in un mercato che resta dominato da Regno Unito (capace di attirare il 43% degli investimenti, grazie alla raccolta da quasi 200 milioni di dollari della scozzese Skyscanner), Germania (22%, spinta da casi come GetYourGuide e GoEuro), Francia (9%), Russia (7%) e un outsider come la Finlandia (6%).
Dati alla mano, il divario dipende però più dal modello di business che dalla dinamicità dei mercati nazionali: «I finanziamenti arrivano alle aziende che sono già “scalabili”, capaci di attrarre subito clienti sul mercato. E quelle italiane fanno fatica» spiega al Sole 24 Ore Filippo Renga, direttore dell’Osservatorio innovazione digitale nel turismo del Politecnico di Milano. Il problema? Le startup italiane devono guadagnare margini in un settore che ruota intorno ai pochi (e redditizi) business già presidiati da colossi stranieri. Come i servizi di vendita di biglietti online, e-commerce ed e-ticketing, capaci di concentrare su di sé l’83% dei 700 milioni di euro censiti dall’Osservatorio. «Nel dettaglio, solo l’e-ticketing vale per il 70% – dice Renga – Poi ci sono possono essere anche servizi diversi, come i Big Data, ma resta una forte asimmetria di partenza».
Nulla esclude, però, che esista una via italiana all’innovazione del turismo. Renga è scettico sulle soluzioni tecnologiche in senso stretto, come lo sviluppo dispositivi indossabili o esperienze di “turismo aumentato” veicolate da visori 3D. I modelli di business più sostenibili potrebbero rivelarsi quelli più tradizionali, soprattutto nella forma di servizi per organizzare visite o facilitare prenotazioni. Insomma: più che inventare realtà inedite, si tratta di potenziare una filiera già esistente con soluzioni che vanno dal data mining (analisi dei dati) ai chatbot.
Gli esempi non mancano. Sweetguest, nata dai due under 30 Edoardo Grattirola e Rocco Lomazzi, ha centrato un finanziamento da un milione di euro con il suo servizio per massimizzare i ricavi degli appartamenti messi in affitto su Airbnb. Manet, in accelerazione al Luiss Enlabs di Roma, ha incassato nel 2016-2017 due finanziamenti da 350mila e 409mila euro con il suo progetto di “smartphone customizzati” da distribuire ai clienti degli alberghi. «Spesso le soluzioni più innovative per il turismo non sono “technology driven”, guidate dalla tecnologia – dice Renga – In Italia converrebbe lavorare su quello già esiste, come i dati. E imparare a farli fruttare».
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@lucatremolada