Indica un intervallo di date:
  • Dal Al
sport

Nba, tutto quello che c’è da sapere sui playoff di quest’anno – Parte 1

Anche quest’anno sono cominciati i playoff NBA e, come da qualche stagione a questa parte, l’accesso alla fase finale è stato consentito a dieci squadre per conference, tramite la formula dei playin.

Questo nuovo sistema prevede che le squadre classificate dalla settima alla decima posizione si affrontino in due scontri diretti successivi da cui poi emergano le contendenti delle squadre classificatesi al primo e al secondo posto, così da completare le due metà del tabellone NBA avente sedici squadre divise nelle due conference.

Dai quattro giorni di playin la vera notizia – neanche così peregrina a dire il vero – è la non qualificazione per i playoff da parte dei Golden State Warriors, sconfitti nell’unica gara disputata per mano dei Sacramento King (eliminati poi a loro volta dai New Orleans Pelicans).

Al di là del non vedere Steph Curry e compagni nella parte calda della stagione, la conseguenza più importante che si protrarrà per tutta la off season sarà il dubbio di poter aver visto l’ultima partita dei Big3 di Golden State con la stessa maglia.

Se da una parte Steph Curry, fresco di 36 candeline, continua a produrre basket su livelli da All NBA, lo stesso non si può necessariamente dire per gli altri due componenti del trio, ossia Draymond Green e Klay Thompson.

Il primo, che non ha mai fatto delle statistiche il suo marchio di fabbrica, in questa stagione ha dovuto scontare una squalifica nata a tempo indeterminato perché potesse schiarirsi le idee dopo l’ennesimo episodio di rabbia espresso sul campo, tornando poi tra le fila dei Warriors grosso modo sui suoi standard degli ultimi anni; sul secondo invece, la questione è un po’ più spinosa dato che il contratto è in scadenza e la stagione non è stata delle migliori (men che meno l’ultima gara chiusa con 0/10 al tiro).

Se c’è quindi un alone di nostalgia per i tre pilastri di una vera e propria dinastia capace di vincere quattro titoli negli ultimi dieci anni, va detto che la stagione regolare appena conclusa ci ha regalato una delle più luminose note del futuro che attende gli appassionati NBA o di basket più in generale.

Si chiama Victor Wembanyama, ha da poco compiuto vent’anni e, se non siete tra quelli che – come il sottoscritto – sospettano che sia in realtà un alieno, è di nazionalità francese.

Ah, è alto 2,25m (per poco più di 95kg) e gioca come un esterno dal punto di vista del trattamento di palla e delle doti balistiche, cose che lo rendono davvero un enigma da ogni punto di vista tattico e biometrico.

Atteso con un hype che probabilmente ha superato addirittura quello che aleggiava attorno a LeBron James esattamente vent’anni fa (sicuramente l’evoluzione dei media sarà stata un fattore in tal senso), nell’estate scorsa è stato ovviamente selezionato al draft con la prima chiamata assoluta dai San Antonio Spurs che proseguono nella tradizione di selezionare un “lungo” potenzialmente in grado di capovolgere le sorti della loro franchigia, come accaduto già due volte con David Robinson prima e Tim Duncan poi.

La sua stagione da rookie, cominciata chiaramente tra mille dubbi legati alla sua tenuta fisica e al dover confrontarsi con un livello più sfidante rispetto alla prima lega francese (andrebbe ricordato che ultimamente la stagione regolare NBA non è l’esatto simbolo di agonismo sfrenato, ad onor del vero), si è conclusa con una cavalcata trionfale dal punto di vista personale che si tradurrà al 100% nel titolo di Rookie of The Year, anche se il record dei suoi Spurs è ancora lontano dall’essere considerato vincente.

E se per la pratica del miglior esordiente non c’è alcun dubbio, le sue performance a tutto tondo stanno ponendo le basi per rendere la corsa al premio di Defense Player of the Year una gara serratissima che si potrebbe concludere con la vittoria del giovane francese, facendole eventualmente diventare la prima matricola a riuscire nell’impresa.

Volendo quindi celebrare l’annata da rookie di Victor Wembanyama, noi di Info Data abbiamo dato un’occhiata ad alcuni numeri che lo rendono davvero un alieno anche nel panorama NBA e per farlo ci siamo concentrati in primis sulle cosiddette “stocks”, vale a dire steals (palle recuperate) e blocks (stoppate), ossia i primi due numeri “assoluti” con cui si può misurare l’impatto individuale di un giocatore dal punto di vista difensivo senza scomodare alcuni dati più avanzati.

Nei grafici che seguono, partendo dallo scatter plot è rappresentata la distribuzione dei giocatori (con almeno 20 partite disputate e 15 minuti di media) per quanto riguarda la media delle stocks sull’asse Y messa a confronto con la media dei canestri da tre punti realizzati, tenendo conto anche dei minuti giocati (gradiente dal verde al blu e dimensione crescente in funzione del crescere dei minuti).
Nell’istogramma invece è riportata la top 20 per quanto riguarda le stocks, ripartita fra palle rubate (giallo) e stoppate (arancio).

 

segue…

Per approfondire. 

La stagione Nba ai raggi X. Ecco cosa dicono i numeri – Parte 2

I playoff, i premi della Nba e gli atleti più forti di sempre.

Cinque previsioni sulla nuova stagione dell’Nba e tutti i numeri dei 100 top player