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Il grande tuffo (che non c’è stato) di Michel Fournier. In una infografica

La storia, si sa, è fatta specialmente di grandi imprese che, a prescindere dall’esito, lasciano un segno tangibile per le generazioni future. Ecco quindi che l’impresa dei fratelli Wright, datata 1903 nel contesto di Kitty Hawk in Pennsylvania, rimarrà sempre nell’immaginario collettivo come la genesi del primo volo umano. Recentemente poi, alcune di queste sfide dell’uomo hanno ricevuto un’esposizione mediatica decisamente non paragonabili con quanto è accaduto in passato nell’era priva di internet; basti pensare alla caduta libera dell’austriaco Felix Baumgartner che il 24 ottobre del 2014 si è lanciato dall’altezza di 39 chilometri – stabilendo il primato per quanto riguarda il lancio da un pallone aerostatico – e che, oltre ad essere visto in diretta da migliaia di spettatori, continua ad ammassare visualizzazione anche su YouTube.
Ma non tutte le imprese sono destinate ad entrare nella storia e, ogni tanto, può anche capitare che una di
queste resti solo ed esclusivamente un progetto, senza concretizzarsi con una fase finale che dia il giusto
lustro a tutti i passi necessari per arrivare fino in fondo.
In maniera un po’ romantica, allontanandoci dalla gloria e dalla fama, noi di Info Data oggi abbiamo deciso
di fare un piccolo omaggio ad una missione che, almeno in potenza, ha fatto da precursore al ben più
blasonato ed acclamato salto di Felix Buarmagrtner, citato in precedenza.
Prendendo come ispirazione un’infografica pubblicata su Popular Science, abbiamo voluto riproporre i
dettagli di quello che avrebbe dovuto essere il lancio da oltre venticinque miglia di altitudine da parte di
Michel Fournier. Nella nostra versione interattiva, le fasi della missione sono numerate da 1 a 15 ed è possibile scoprirne i dettagli passando il cursore (click da mobile) sul numero, come ad esempio tempo dal lancio e velocità stimata della caduta; analogamente interagendo con i numeri su sfondo bianco vengono riportate alcune altitudini notevoli per dare il contesto di quali fossero le altezze dell’intero viaggio verso l’apice della salita.

Il sogno di Michel Fournier, ufficiale dell’esercito classe 1944 e particolarmente affine con le esperienze di paracadutismo, sarebbe sempre stato quello di realizzare il suo tanto desiderato Big Jump che gli sarebbe valso ben quattro primati mondiali: altitudine per un salto in caduta libera, più alto volo umano con un pallone aerostatico, durata maggiore e velocità più elevata in caduta libera.

Il condizionale è assolutamente d’obbligo visto che, nonostante una spesa (comprensiva ovviamente di
fondi e finanziamenti) attorno ai venti milioni di dollari, il tanto agognato salto che pareva essere pronto per andare in scena nel maggio del 2008 con partenza sopra la pianura di Saskatchewan in Canada, non si è mai concretizzato a causa di intoppi di varia natura che spaziarono dalle condizioni metereologiche avverse a problemi tecnici legati sia al pallone aerostatico staccatosi mentre veniva gonfiato, volando poi via, che ad aperture indesiderate del paracadute di riserva nelle fasi iniziali di preparazione.

Nonostante le avversità riscontrate, il piano per il lancio venne organizzato con la supervisione di scienziati e professionisti di provenienza non solo francese in grado di fornire competenze in svariati ambiti tra cui vettori, fisiologia aeronautica e spaziale, vincoli di altitudine, attrezzature e strumenti di misurazione, senza dimenticare sport ed allenamento fisico, combinati infine con fotografia e multimedia più in generale per registrare al meglio l’impresa.
Gran parte dei fondi andarono principalmente dedicati alla costruzione e progettazione del “mezzo” costituito da pallone stratosferico, alto oltre 160 metri con un diametro di 115 metri totali e gonfiato ad elio, a cui sarebbe poi stata collegata la “gondola” S38 da utilizzare come piccolo veicolo spaziale pressurizzato – in grado di proteggere Fourier da raggi UV, cosmici e dal freddo – che, a pieno regime avrebbe poi raggiunto circa 620 chilogrammi di peso.
Anche a fronte di una preparazione così dettagliata e di un’attrezzattura di primissimo ordine, come detto, Michel Fournier non riuscì mai a compiere il salto da oltre quaranta chilometri da terra che lo avrebbe condotto ampiamente nella stratosfera, superando di conseguenza la troposfera dopo poco meno di un terzo del viaggio che, tanto per avere dei riferimenti, è paragonabile all’altitudine a cui si muove un Boeing 747 (35mila piedi).
Poco sopra a quella soglia, verso i 50mila metri, Fournier si sarebbe imbattuto nella fascia dell’atmosfera
più fredda con una temperatura media attorno ai -75° Fahrenheit, corrispondenti a -60° Celsius, prima di
“riscaldarsi” progressivamente nella salita fino ad arrivare ai 32° Fahrenheit (equivalenti a 0° Celsius) del
punto più alto contemplato dalla missione. Giunto al culmine della sua ascesa, l’ex colonnello francese si sarebbe dovuto lanciare nel vuoto di testa, arrivando a toccare già le 870 miglia orarie dopo soli 25 secondi dall’abbandono della “gondola”, tanto da raggiungere il livello Mach1, fino ad arrivare alla velocità massima di circa 885 miglia che si sarebbe
mantenuta per un altro minuto prima di effettuare un cambio di posizione in grado da generare un
maggiore attrito con l’aria e smorzando la velocità che si sarebbe poi attestata attorno alle 375 miglia per
ora.
La discesa sarebbe poi dovuta rallentare sempre più passando prima per le 275 miglia orarie delle ultime
fasi prima di arrivare all’apertura del paracadute dopo circa sei minuti e mezzo con una velocità attorno alle
110 miglia verso i 3300 piedi di altitudine che lo avrebbero poi condotto a toccare il suolo terrestre dopo un
totale di diciasette minuti e trenta secondi. Diciasette minuti che per Michel Fournier in realtà sono durati una vita visto che non sono mai davvero iniziati, ma che noi abbiamo voluto omaggiare comunque, per una delle non-imprese più impressionanti che l’uomo abbia mai contemplato.