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finanza

Chi investe nella diversità di genere nel top management avrà conti migliori. Il nostro calcolo e i grafici

Nelle medie imprese europee, quando nel top management sono presenti sia uomini e che donne, i risultati aziendali sono migliori? Tendenzialmente sì.

Attenzione, come sempre, all’avverbio: non accade in ogni caso e non è sempre e inequivocabilmente così. Eppure, a guardare il fenomeno aggregato da diversi punti di vista, si scopre che quando tra chi ricopre i tre ruoli principali in azienda ci sia almeno una donna (o almeno un uomo), i ricavi crescono di più e le performance di borsa nel medio periodo sono più elevate.

Non possiamo ovviamente affermare con certezza che un fenomeno sia la conseguenza dell’altro. Tuttavia, sembrano esserci validi indizi per sostenere una correlazione.

Per l’analisi abbiamo considerato le medie imprese europee quotate, cioè quelle con una capitalizzazione di mercato compresa tra dieci milioni e un miliardo di euro.

Escludendo quelle per le quali non vi erano abbastanza informazioni sul management, il nostro campione finale è stato di quasi 3.700 società, sufficientemente ampio per la nostra indagine.

Per queste imprese abbiamo cercato i tre ruoli principali, che possono essere diversi a seconda del modello organizzativo adottato. Il nostro gruppo di partenza è stato poi diviso tra quelle nelle quali entrambi i generi sono rappresentati e quelle nei quali non è così. Cioè la quasi totalità di queste ultime, con tre maschi ai vertici.

A questo punto abbiamo sommato tutti i ricavi del 2021 e del 2020 per ciascun gruppo: ebbene, dove la diversità di genere nel top management è assicurata, questi sono cresciuti del 14,3%, contro solo il 12% dove non lo era.

Per capire se il fenomeno sia consolidato, abbiamo anche visto cosa è accaduto nei due anni precedenti: in entrambi i casi il gruppo dove vi era almeno un uomo o una donna nei ruoli apicali ha sempre fatto meglio dell’altro.

Abbiamo cercato, per validare ulteriormente i risultati, eventuali bias legati ai settori industriali oppure alla provenienza geografica. In entrambi i casi, però, la conclusione è stata la medesima: per quanto riguarda i settori, nell’ultimo anno in ben sette casi su undici si è verificata lo stesso andamento osservato in via generale. Tra i Paesi, invece, la conferma arriva da quasi due Borse su tre.

Ma questi risultati si traducono poi in performance migliori delle azioni? Anche per questa domanda la risposta è “tendenzialmente sì”. Per verificarlo abbiamo costruito due indici pesati sulla capitalizzazione (cioè nei quali, semplificando al massimo, le aziende contribuiscono alla crescita o al calo dell’indice in misura proporzionale al proprio valore di mercato), nelle versioni price return e total return, dove in quest’ultima (sempre semplificando al massimo) si considerano anche i dividendi distribuiti.

Le lancette dei due indici sono poi state portate indietro a tre anni fa: Chi avesse investito 100 euro nel gruppo con diversità di genere nel top management oggi avrebbe 3 euro in più (nel calcolo price return oppure 1,6 euro total return) rispetto a chi avesse investito nell’altro.

L’analisi di questi fenomeni tende a risentire di errori di campionatura. Per questo abbiamo scelto un contesto sufficientemente ampio e tuttavia non così eterogeneo, dove le singole imprese non possano spostare il risultato complessivo in modo troppo marcato. Applicare la stessa metodologia, ad esempio, a un solo Paese oppure a un solo settore potrebbe condurre a risultati differenti. Ma appunto, si perderebbe la generalizzazione che solo un gruppo molto ampio e ben distribuito può fornire.

E ora non ci resta che attendere: sottoporremo ancora il nostro modello a verifica tra un anno, e cercheremo di capire se le società con diversità di genere nel top management avranno saputo affrontare la burrasca attuale meglio o peggio delle altre.