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cronaca

Dai numeri agli indicatori: cronaca critica della diffusione (dei dati). Quarta puntata

Dopo i numeri assoluti, vennero gli indicatori. Per quanto sui giornali e nei Tg si senta ancora parlare del numero di nuovi contagi giornalieri confrontato con quello del giorno precedente per poi stabilire una tendenza, circostanza che causa più di un’ulcera agli statistici, ormai da qualche giorno nell’immaginario numerico legato al Covid-19 sono entrati anche gli indicatori.

Il più celebre, reso tale suo malgrado dall’assessore al Welfare di Regione Lombardia Giulio Gallera, è l’indicatore Rt, noto al secolo come tasso di riproduzione. Si tratta di un indicatore che misura la diffusione di un’epidemia nel tempo: se è maggiore di 1 significa che la curva del contagio è in crescita, se è minore significa che è in calo.

Se è pari a 0,51, come ricordava in conferenza stampa l’esponente dell’esecutivo lombardo, questo non significa che serva entrare in contatto con due persone malate contemporaneamente per essere contagiati. Per questo, purtroppo, ne basta uno solo. Banalizzando brutalmente, un valore pari a 0,51 indica che in media 100 malati contagiano 51 persone. Detto altrimenti, che gli sforzi per il contenimento della pandemia stanno avendo successo. Fosse pari a 1,51, significherebbe che 100 malati contagiano in media 151 persone e che quindi l’epidemia non è contenuta.

Si tratta, ovviamente, di medie. Quello che conta, oltre a valutare se l’indicatore sia o meno superiore a 1, è il suo andamento: finché scende, tutto bene, se comincia a risalire scatta l’allarme. Ora, da un paio di settimane il Ministero della Salute comunica i dati relativi all’indice Rt su base regionale. Su questa mappa è rappresentato l’ultimo aggiornamento disponibile.

In azzurro le regioni con un Rt minore di 1, in arancione quelle con un valore più elevato. Come si vede, l’unica realtà in questa situazione è il Molise. Non si vede invece sulla mappa la Campania perché nei dati forniti dal ministero della Salute il valore del tasso di riproduzione per questa regione è «in fase di definizione».

 

Esatto, l’indicatore sulla base del quale il Governo ha deciso di riaprire i confini regionali a partire dal 3 giugno non è disponibile per la terza regione italiana per numero di abitanti dopo Lombardia e Lazio. Ma non è tutto: i dati fanno riferimento alla settimana compresa tra il 18 ed il 24 maggio. Sono, in altre parole, vecchi di una settimana. Ora, certamente al ministero ci saranno i dati aggiornati quotidianamente e la decisione del governo sarà sicuramente stata assunta sulla base di questi ultimi. Non si capisce, però, perché non comunicarli.

L’altro indicatore ormai entrato nell’immaginario è quello relativo al rapporto tra i tamponi eseguiti e i positivi riscontrati. Anche in questo caso c’entra la Lombardia, nel senso che sul tema si è innescata una polemica con il presidente della Fondazione Gimbe Nino Cartabellotta che finirà, così ha annunciato la giunta del presidente Attilio Fontana, in tribunale.

 

Al netto di tutto questo, il tema è il rapporto tra i casi positivi e il numero di tamponi effettuati. Utilizzando i dati aggiornati dalla Protezione civile, incrociati con quelli sulla popolazione al 1 gennaio 2019 forniti da Istat, Infodata ha rappresentato la situazione su questo grafico.

 

 

Più un punto si trova a destra, maggiore è il numero di tamponi effettuati ogni 10mila abitanti, più  è in alto, maggiore è l’incidenza dei contagi ogni 10mila residenti. I punti sono dimensionati sulla base dei positivi ogni 10mila tamponi.

In un mondo quasi perfetto, dacché se fosse perfetto non ci sarebbero pandemie, la situazione ideale è quella di trovarsi in basso a destra. Ovvero con molti casi testati e pochi positivi riscontrati: una strategia di tamponatura molto efficace e un buon contenimento dei contagi. L’incubo, invece, è stare all’estremo opposto, dove si troverebbe una regione con pochi tamponi effettuati e molti casi di contagio.

Al di là dei singoli risultati, il punto è utilizzare al denominatore, mentre si calcola l’incidenza ogni 10mila abitanti, il numero relativo ai casi testati e non al totale dei tamponi effettuati. Sì, perché il singolo malato riceve più di un tampone: il primo serve a confermare la diagnosi, il secondo ed il terzo a verificare la guarigione. La Protezione civile ha iniziato a comunicare i due dati distinti dallo scorso 19 aprile.

Tutto questo detto, il tasso di riproduzione e l’incidenza di tamponi e contagi ogni 10mila residenti sono indicatori che permettono di misurare l’andamento della pandemia e di confrontare tra loro realtà molto diverse innanzitutto sotto il profilo della popolazione. Certo, richiedono uno sforzo di astrazione rispetto alla comunicazione dei numeri assoluti dei morti e dei contagiati. Ma consentono di capire in maniera più approfondita quanto sta accadendo.