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economia

Teoria e pratica del comportamento disonesto

Cosa succede se un pool di ricercatori si mette a distribuire in giro per il mondo migliaia di portafogli smarriti cercando di capire se le persone li restituiscono e che cosa li spinge a questo gesto di semplice educazione civica e onestà?

Succede, se ti va bene e hai disegnato bene l’esperimento, che ne esce fuori una pubblicazione su Science, la Bibbia dello scienziato, che mostra appunto i risultati di un gigantesco esperimento sul campo condotto a livello globale, in 355 grandi città di 40 stati del mondo, per un totale di 17.303 portafogli ‘smarriti’ e restituiti.

Nelle scienze sociali, lo studio del comportamento disonesto è un grande tema di ricerca, non fosse per i costi che ha la corruzione a livello sociale: su tutti, valga l’esempio dell’evasione fiscale che, per citare solo l’Italia, è stimata in valori vicini o superiori ai 100 miliardi di euro l’anno (il doppio abbondante di una finanziaria lacrime e sangue, per intenderci).

Condurre un esperimento ha il vantaggio di poter osservare direttamente come si comporta una persona di fronte a una determinata situazione e, nel caso specifico, il punto di riferimento è rappresentato dagli studi di Milgram degli anni ’60 del Novecento.

Qui, tuttavia, si sono fatte le cose in grande, con un enorme esperimento sul campo che aveva un obiettivo specifico: studiare le determinanti del comportamento onesto, in particolare con riferimento alla sua associazione statistica con gli incentivi monetari.

I ricercatori hanno disegnato un esperimento che funzionava in modo molto semplice: alcuni assistenti, “travestiti” da passanti trafelati, si presentavano in un luogo pubblico in città: un teatro, una banca, un tribunale, un hotel o un ufficio postale.

Sono tutti luoghi frequentati e dove, tipicamente, c’è un receptionist.

A quel punto, l’assistente si presentava all’usciere col portafoglio smarrito, dicendo di essere di fretta e chiedendo di restituire il portafoglio al legittimo proprietario.

Il portafoglio, fatto a mo’ di porta-tessere trasparente, conteneva sempre: nome (fittizio, adattato al luogo di consegna) del proprietario e indirizzo email; una chiave, una lista della spesa e dei soldi.

I ricercatori, poi, nei 100 giorni successivi all’avvenuta consegna del portafoglio, hanno controllato l’indirizzo email per verificare se il proprietario venisse contattato o meno.

L’esperimento è stato condotto con diverse varianti, in primis, come accennato prima, modificando la quantità di denaro presente nel portafoglio: da 0 (No money) a circa 10 euro (Money) fino a 80 euro (Big Money).

I risultati sono inequivocabili: le persone restituiscono con maggiore probabilità un portafoglio ritrovato se esso contiene del denaro, e lo restituiscono con tanta più frequenza quanto più alta è la quantità di soldi in gioco.

Qui di seguito il grafico che riporta i dati per i paesi testati:

 

 

In 38 paesi su 40 la probabilità aumenta significativamente quando il portafoglio contiene del denaro e, in ogni caso, negli altri due paesi la riduzione di probabilità è statisticamente non significativa.

Duole notare la posizione relativa dell’Italia, in questo campione, ultimo paese tra quelli europei a livello di civismo intrinseco.

Quota di portafogli senza soldi ($0) e con soldi ($13.45) e con molti soldi ($94.15)

 

Una volta trovato il risultato, però, i ricercatori non si sono fermati, cercando di studiare il perché di esso (che è cosa maledettamente più difficile).

Innanzitutto, hanno tolto dal campo la spiegazione utilitarista: una persona potrebbe essere indotta a restituire un portafoglio con dentro dei soldi perché ha paura di essere sanzionata se viene scoperta a tenerselo. Controllando, tuttavia, per una serie di variabili (persone presenti al momento della restituzione, telecamere di sorveglianza attive e altri fattori), i risultati non supportano questa ipotesi.

Si è provato a vedere cosa succede se si consegna un portafoglio con o senza una chiave (oggetto davvero personale che potrebbe aumentare, diciamo così, l’empatia di chi deve restituire l’oggetto al proprietario).

Effettivamente, la presenza di una chiave nel portafoglio aumenta la probabilità che venga restituito di 9 punti percentuali.

 

I tassi di restituzione in Usa (N = 800).

Quello che, tuttavia, sembra essere il motore della restituzione, è più che altro in linea con le teorie psicologiche che si basano sull’immagine che una persona ha di sé.

Noi tutti, cioè, tendiamo ad avere, e a volerla mantenere nel tempo, un’auto-percezione di persone oneste.

Magari incorriamo in qualche piccola furbizia (che so, rubare la penna con cui prendo gli appunti per questo articolo in un hotel) senza che, tuttavia, quel piccolo furtarello possa alterare l’auto-immagine di essere umano civicamente positivo.

È chiaro, però, che c’è un limite e che, al crescere del denaro in gioco, aumenti il costo psicologico della non-restituzione, che potrebbe far pendere la bilancia dell’auto-percezione verso l’estremo ‘disonestà’.

È un equilibrio delicato e dinamico, ma mostra come l’effetto stigma e di confronto sociale sia importante nella nostra attitudine verso la disonestà.

E ora scusate ma ho un portafoglio tra le mani e non riesco a ricordare a chi l’ho rubato.