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Airbnb e il business, l’1% degli inserzionisti gestisce o possiede più di dieci alloggi

Airbnb è quella piattaforma che consente a chiunque possieda un appartamento di affittarlo a turisti di passaggio. E se invece ad utilizzarlo fossero delle aziende che hanno in portafoglio centinaia, se non migliaia, di sistemazioni?

In realtà, ad analizzare i dati, non si tratta di una possibilità. Ma di una realtà consolidata. Almeno questo è quello che sostiene Vincenzo Patruno, civic hacker e membro dell’associazione OnData, che ha estratto ed analizzato le informazioni relative a tutti gli appartamenti in affitto su Airbnb sul territorio italiano.

Recuperati i quali ha isolato quelli relativi al Salento, la zona in cui vive. «Sono circa 16-17mila», spiega. Quindi ha calcolato quanti appartamenti fossero riconducibili ad un unico host, come lo chiama la piattaforma. Ha quindi estratto i nominativi delle realtà che affittano più di dieci appartamenti. Ed è tornato ai dati nazionali, visualizzando con IXMaps dove si trovino tutte le soluzioni di proprietà di questi soggetti. Il risultato, i dati sono stati estratti nel giugno scorso, è questo:

[Mappa]

 

Ogni punto indica un alloggio. Il colore identifica invece il proprietario. Come si può vedere, esiste un host attivo nel Salento che possiede molti appartamenti sparsi per tutta la Toscana. Difficile pensare che si tratti di un privato proprietario di tutte queste soluzioni. Certo, esistono gli alberghi diffusi. Ma in casi come questo, i numeri sono eccessivi per realtà di questo tipo.

«Quello che è emerso è che esiste un ristretto numero di soggetti, circa l’1% a livello nazionale, riconducibili ad aziende e che gestiscono più di dieci alloggi. Nel Salento la percentuale sale all’1,3%». Il punto, aggiunge, «è che a loro fa riferimento il 19,8% di tutti gli appartamenti disponibili» nel Sud della Puglia. Come a dire che, volendo alloggiare da queste parti con Airbnb, si ha una possibilità su cinque di essere ospitati da una di queste realtà.

Tutto lecito? Vale a dire, questa pratica è ammessa dalle condizioni d’uso della piattaforma? E ancora: queste realtà che gestiscono così tanti appartamenti godono di un trattamento di favore, ad esempio sul piano tarrifario? E non c’è il rischio che possano offrire prezzi decisamente concorrenziali rispetto a quelli praticati da chi su Airbnb affitta, per dirla così, l’appartamento ereditato dalla nonna?

Quesiti che il Sole24Ore ha girato a Mauro Turcatti, Pubblic affairs manager dell’azienda. «La maggior parte degli host è composta da persone che hanno a disposizione uno spazio sia all’interno della propria casa, sia in un’altra abitazione», spiega, «certamente coesistono anche intermediari e professionisti che gestiscono, grazie alla propria impresa, più immobili per conto dei singoli proprietari». Si tratterebbe insomma di agenzie che non possiedono gli alloggi, ma si limitano a gestirli.

E, qui la risposta alla prima domanda, questo non viola le condizioni d’uso. Anzi, «Airbnb dà uno strumento anche a loro: piccole o medie imprese che contribuiscono, insieme al 70% di host italiani che hanno un solo annuncio, a creare turismo di qualità». Dal che si deduce che un 30% degli host presenti a livello nazionale sulla piattaforma possiede, o gestisce, almeno due alloggi. Una percentuale più alta di quella salentina. Per questi operatori, seconda questione, non sono previste tariffe scontate. «Non c’è nessun trattamento agevolato per gli intermediari, che sono soggetti alle stesse commissioni degli host privati», ovvero una percentuale sui ricavi compresa tra il 3 ed il 5% sui ricavi. «Quello che facciamo», prosegue Turcatto, «è piuttosto assicurare loro un servizio di assistenza clienti specializzato».

Non c’è infine il rischio che questo 1,3% di host che gestisce il 19,8% degli alloggi salentini possa condizionare al ribasso i prezzi? Certo un bene per la clientela, forse meno per gli altri host che mettono in affitto un’unica soluzione. Ma, risponde il Public affairs manager di Airbnb, «in questo 20% troviamo sia i privati che esercitano in forma occasionale o professionale, sia le agenzie di intermediazione o i property manager». Si tratta, insomma, di «diverse centinaia di utenti, un numero troppo alto per immaginare fantomatici cartelli». Tanto più che «i property manager e le agenzie immobiliari devono da una parte coprire i costi aziendali, dall’altra garantire un’adeguata remunerazione al proprietario che gli ha affidato la gestione dell’appartamento». E quindi, questo il senso del ragionamento di Turcatti, non avrebbero margini per offrire prezzi più bassi rispetto a chi invece mette in affitto l’appartamento ereditato dalla nonna. Che dunque, così afferma l’azienda, giocherebbe ad armi pari rispetto a chi invece ha in mano un nutrito portafoglio di alloggi.