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politica

Quale è il contributo dei migranti regolari? I numeri da cui partire

Se vogliamo parlare di integrazione effettiva di chi ottiene il permesso di soggiorno in Italia ci sono due aspetti da considerare: da una parte i tassi di occupazione, di disoccupazione e inattività delle persone non comunitarie regolarmente soggiornanti nel nostro paese sono grosso modo gli stessi degli italiani; dall’altra, la maggior parte di loro guadagna sugli 800 euro al mese.
Questo emerge da un recente rapporto del Ministero del Lavoro, che fa il punto della situazione demografica e occupazionale delle persone regolarmente soggiornanti nel nostro paese al 1 gennaio 2017 nelle 14 principali città metropolitane italiane.

Complessivamente, il tasso di occupazione dei soggiornanti non comunitari al 1 gennaio 2017 era del 57,8% a fronte di 57% degli italiani, nonostante si rilevino una netta settorializzazione dell’occupazione e una disparità nella retribuzione rispetto agli italiani.
Inoltre, il loro tasso di imprenditorialità è in continua crescita, con un +3,5% di nuove ditte individuali di cittadini non comunitari nel 2016 sul 2015. Nel 2016 erano 366.425 i titolari di imprese individuali nati in un paese al di fuori dell’Unione Europea, l’11,3% del totale delle ditte individuali a livello nazionale.

La media nazionale però ci dice poco, poichè le differenze territoriali sono enormi: al sud, anche se ci sono meno soggiornanti regolari rispetto al nord (il 13,9% contro il 62%), sono molto più alti i tassi percentuali di disoccupazione e di inattività, mentre sono minori i tassi di imprenditorialità delle persone non comunitarie. Fanno eccezione Genova, che ha il più alto tasso di disoccupazione fra non comunitari (un quarto del totale) e Venezia, seconda in Italia per tasso di inattività.

Il tasso di occupazione della popolazione non comunitaria oscilla da un minimo del 49,3% rilevato a Reggio Calabria ad un massimo del 69,1% dell’area metropolitana di Roma; il tasso di disoccupazione risulta invece minimo a Roma (9,9%) e massimo a Genova (25,8%). Infine, il tasso di inattività, Roma, Genova e Milano fanno registrare i valori più bassi, mentre Reggio Calabria, Venezia e Palermo i più alti.

Un chiarimento lessicale: il tasso di disoccupazione indica il numero di persone non occupate tra 15 e 74 anni che hanno effettuato almeno un’azione attiva di ricerca di lavoro nelle quattro settimane che precedono quella di riferimento e sono disponibili a lavorare entro le due settimane successive; oppure inizieranno un lavoro entro tre mesi dalla settimana di riferimento. Gli inattivi sono invece coloro i quali per diverse ragioni non sono occupati e non cercano occupazione, donne incluse.

Come tasso di imprenditorialità, a Milano una ditta individuale su 4 ha come titolare una persona non comunitaria. Con 440.622 soggiornanti regolari, Milano è prima anche per incidenza dei soggiornanti extra UE sul totale dei residenti: l’11,6% dei domiciliati, contro il 5,6% italiano. Le comunità più rappresentate a livello locale provengono da Egitto (14,7%), Filippine (10,6%) e Cina (10,2%). Complessivamente sono oltre 9 mila i cittadini non comunitari regolarmente soggiornanti in città per aver ricevuto asilo o un’altra forma di protezione umanitaria.

La seconda città per presenza di cittadini non comunitari è Roma, dove soggiornano regolarmente 345.897, pari al 9,3% del totale nazionale e l’incidenza dei residenti extra UE sul totale dei residenti è del 7,2%. Le comunità più rappresentate a livello locale provengono da Filippine, Bangladesh e Cina, con incidenze rispettivamente del 12,8%, 10,9% e 6,9%. Le imprese individuali di persone extra UE sono il 19% delle attività in essere nella capitale, e su questo Roma è superata seppur di poco da Firenze, dove esse sono il 20% del totale.

Va sottolineato che a differire fra nord e sud sono anche le ragioni del soggiorno: nelle città metropolitane del Meridione, geograficamente più esposte alle rotte migratorie, si registrano maggiori incidenze dei soggiornanti per richiesta o titolarità della protezione internazionale sul totale dei regolarmente presenti piuttosto elevate. L’esempio più eclatante è Catania, dove i titolari di protezione internazionale sono il 36,7% dei regolarmente soggiornanti (incidenza aumentata del 33% negli ultimi 7 anni). Seguono Reggio Calabria con il 36% e Bari con il 26,7%. Al contrario, a Bologna, Torino e Venezia la metà dei soggiornanti risiede lì per motivi familiari.
Avere un lavoro non è tuttavia sinonimo di integrazione, perché non significa un’effettiva uscita da una condizione di indigenza. La maggior parte dei cittadini non UE regolarmente soggiornanti nel nostro paese guadagna infatti meno di 800 euro al mese.

La tabella sottostante riporta per ogni città la principale fascia di reddito dei lavoratori dipendenti non UE. La situazione “migliore” riguarda le principali città del nord (Bologna, Firenze, Genova, Milano e Torino) dove la principale classe di lavoratori, circa metà del totale, è quella che guadagna da 800 a 1200 euro al mese. Nel resto delle città, la fetta più grossa è composta da chi guadagna meno di 800 euro al mese, e in alcune città si parla di oltre il 70% dei lavoratori. La situazione peggiore è Catania, dove l’82% di essi guadagna meno di 800 euro mensili; seguono Palermo (76,1%), Messina (73,6%) e Reggio Calabria (71,1%).

Ultimi commenti
  • Pasquale Caputo |

    Vorrei sapere se ci sono studi relativi all’incidenza della immigrazione sul nostro sistema pensionistico. Se il problema principale è il fatto che abbiamo un innalzamento della prospettiva di vita, a fronte di una decrescita demografica come uno dei fattori che rende insostenibile l’attuale sistema pensionistico, potrebbe essere interessante comprendere se una politica di apertura all’immigrazione da innestare in un ciclo virtuoso come nuova risorsa economica nel nostro sistema possa essere la base per poter rendere sostenibile un sistema pensionistico migliore di quello attuale.

  • Pasquale Caputo |

    Vorrei sapere se ci sono studi relativi all’incidenza della immigrazione sul nostro sistema pensionistico. Se il problema principale è il fatto che abbiamo un innalzamento della prospettiva di vita, a fronte di una decrescita demografica come uno dei fattori che rende insostenibile l’attuale sistema pensionistico, potrebbe essere interessante comprendere se una politica di apertura all’immigrazione da innestare in un ciclo virtuoso come nuova risorsa economica nel nostro sistema possa essere la base per poter rendere sostenibile un sistema pensionistico migliore di quello attuale.

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