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Chi sono gli startuppers italiani? I numeri del primo censimento

Solo una startup su dieci ha ricevuto denaro per una partecipazione azionaria da un venture capital e da un business. E anzi, la maggior parte degli imprenditori innovativi si dichiara pure soddisfatto “pienamente” soddisfatto delle fonti di finanziamento a propria disposizione (34,1%). Come dire, per gli startupper tutto sommato i soldi non sono un gran problema. E’ questa una delle sorprese contenute nel rapporto Rapporto “Start up Survey 2016” che viene presentato questo mattina a Roma
da Istat e dal Ministero dello Sviluppo economico. I dati sono arrivano a coprire la fine del 2015 ma si tratta della prima indagine realizzata in Italia sulle neoimprese innovative dalla data della loro nascita giuridica nel 2012. Si tratta quindi di un censimento che ha visto la partecipazione di ben 2.250 startup innovative, facendo registrare un tasso di risposta del 43,7%. Per la prima volta quindi al di là dei numeri espressi nel registro delle imprese sono stati interrogati i protagonisti di questo ecosistema. La fotografia che emerge ci consegna un ritratto che in parte ci aspettiamo. Lo startupper è uomo (82%), laureato (72%) prevalentemente in ingegneria o economia e ha una età media di 43 anni. Più vecchio quindi dell’immagine made in California dei ragazzini prodigio in felpa e infradito che dal nulla inventano business miliardari. Per restare con i piedi per terra le nostre startup, proprio per il fatto di essere startup, per ora non hanno un indotto significativo. Circa il 60% delle startup innovative, impiega almeno un dipendente: nella metà dei casi si tratta di persone tra i 25 e i 34 anni di età e circa tre su quattro sono uomini. Le forme contrattuali prevalenti sono quelle atipiche, per lo più contratti a progetto, e l’incidenza dei dipendenti donna è decisamente più bassa tra i dirigenti che tra gli impiegati e i tirocinanti.
Per quanto riguarda il rapporto dei fondatori di startup innovative con la policy nazionale loro dedicata, dalla rilevazione sul campo risulta che le misure di policy più conosciute alle aziende sono la riduzione dei costi per l’avvio d’impresa e l’accesso semplificato e gratuito al Fondo di Garanzia per le Pmi, noto a quasi 9 startup su 10 – anche se quasi 1 su 5 dichiara di non conoscere le modalità per accedervi.

Qui trovate l’Info realizzata nel 2013 da Istat

Quanto alla soddisfazione sulla policy sulle startup innovative e quindi sull’operato del Governo e del Parlamento in questi anni risultano piuttosto interessanti le risposte degli startuppari. La misura che raccoglie più interesse è il Credito d’imposta R&S, pur a fronte di una percentuale di effettivo utilizzo piuttosto bassa (12,2 per cento). Bene anche per gli incentivi agli investimenti in equity- Due misure che registrano invece un numero significativo di non interessati sono l’equity crowdfunding e l’opportunità di adottare piani di stock option e work for equity defiscalizzati.

Qui invece il focus startup di Aster con i dati aggiornati a febbraio

 

  • I soci operativi delle startup sono prevalentemente uomini (82%) e presentano un’età media di 43 anni. Hanno conseguito un titolo di studio pari o superiore alla laurea triennale nel 72,8 % dei casi, per lo più in materie tecnico-ingegneristiche ed economico-manageriali.
  • Nella maggior parte dei casi i soci sono laureati (88%) e dichiarano  di svolgere mansioni coerenti con il proprio percorso di studi. La quasi totalità i (96%) dichiara inoltre di conoscere almeno un’altra lingua oltre l’italiano (l’inglese nella maggior parte dei casi, seguito dal francese e dallo spagnolo);  la metà ha fatto esperienze di studio o lavoro in altri Paesi.
  • Il radicamento territoriale dei soci appare molto elevato: per l’83% la regione sede della startup è la medesima nella quale sono state condotte le principali esperienze formative o lavorative. I contesti familiari di provenienza si caratterizzano per una forte eterogeneità: quattro su dieci (40,5 %) dichiarano di avere un padre imprenditore o lavoratore autonomo.
  • Dal punto di vista motivazionale, la ragione che ricorre con maggiore frequenza per l’avvio dell’impresa è la realizzazione di prodotti o servizi innovativi, seguita dall’ambizione di avviare un’impresa di successo e redditizia. Tuttavia, la metà dei soci dichiara che l’avvio della startup non ha ancora prodotto effetti significativi sul proprio reddito.
  • Circa il 60% delle startup innovative, impiega almeno un dipendente: nella metà dei casi si tratta di persone tra i 25 e i 34 anni di età e circa tre su quattro sono uomini. Le forme contrattuali prevalenti sono quelle atipiche, per lo più contratti a progetto, e l’incidenza dei dipendenti donna è decisamente più bassa tra i dirigenti che tra gli impiegati e i tirocinanti. Il titolo di studio più diffuso è il diploma di scuola superiore e l’area professionale quella tecnologico-ingegneristica.
  • Con riguardo alle fonti di finanziamento delle startup risulta che al momento della fondazione il 73,2% delle imprese ha fatto principalmente ricorso alle risorse proprie dei soci fondatori e che tale fonte è utilizzata da circa la metà delle startup anche al momento della rilevazione, benché in misura decrescente.

 

 

  • Le donazioni provenienti da famiglia e amici  sembrano avere un ruolo marginale tanto alla costituzione quanto dopo, verosimilmente perché tali attori tendono a proporsi più come soci che come meri finanziatori.
  • Una quota minoritaria delle imprese è stata avviata mediante finanziamenti pubblici (nel 3% dei casi di origine nazionale, nel 7,7% di fonte regionale o locale), soprattutto nelle regioni meridionali, ma il ricorso alle risorse pubbliche diventa più significativo per le imprese più mature, soprattutto se impegnate in attività di R&S.
  • Solo l’8,2% delle startup innovative ha ricevuto in fase di costituzione finanziamenti in equity da società di venture capital, business angel o altre imprese, percentuale che sale leggermente al momento della rilevazione (11,2%).
  • Buona parte degli startupper si dichiara pienamente soddisfatto delle fonti di finanziamento a propria disposizione (34,1%), percentuale più elevata nelle regioni del Nord (38,4%) e tra le imprese con fatturato più cospicuo (56%). Per contro, il 21,7 % degli imprenditori ritiene che la disponibilità finanziaria della propria startup sia del tutto insufficiente a coprire il fabbisogno.
  • Ben il 65,7% delle imprese dichiara che il finanziamento ottimale di cui necessitano è un mix tra equity e debito; solo un quarto vorrebbe finanziarsi esclusivamente tramite equity e meno del 10% solo a debito. Le tipologie di investitori preferite sono i fondi di venture capital (42,9%) e le aziende (42,8%) mentre solo un sesto delle startup rispondenti raccoglierebbe finanziamenti tramite l’equity crowdfunding, per lo più imprese con valori della produzione contenuti e costituitesi dopo l’entrata in vigore del regolamento Consob in materia (2013).
  • Per quanto riguarda il rapporto delle startup con gli altri attori dell’ecosistema dell’innovazione, in particolare incubatori certificati, università e imprese mature, risulta che la gran parte delle imprese (72,6%) non è stata mai localizzata presso un incubatore certificato, il 21,6% lo è al momento della rilevazione e che la restante parte lo è stata in passato. L’incidenza di quella platea di incubatori che la normativa nazionale identifica come eccellenti, e che storicamente si attesta sulle 30 unità, riguarda dunque una startup innovativa italiana su quattro.
  • Oltre sette imprese su 10 (74%) hanno realizzato innovazioni di prodotto o servizio mentre le innovazioni di processo, realizzate dal 37,1% delle startup, sono più diffuse tra le classi di fatturato più alte.
  • Nella maggioranza dei casi (65%) si tratta di forme di innovazione incrementale, ossia migliorativa di un prodotto o di un processo già esistente; il 48,5% delle startup dichiara invece di aver introdotto prodotti del tutto nuovi.
  • La conoscenza tecnica o scientifica che ha reso possibile l’introduzione dell’innovazione dichiarata deriva per più della metà delle startup (61,9%) da precedenti esperienze professionali nello stesso settore; solo nel 20% dei casi la ricerca universitaria rappresenta la fonte diretta.
  • La marcata propensione all’investimento, soprattutto in asset intangibili, risulta suffragata dal tasso di immobilizzazioni sull’attivo patrimoniale, che, come si può evincere dal rapporto trimestrale di monitoraggio realizzato dal Mise e dal sistema camerale, supera il 30% alla data di riferimento della rilevazione (31 dicembre 2015), un valore quasi 10 volte superiore alla media allora registrata dal complesso delle società di capitali italiane.
  • L’82,6% delle start up innovative ha investito in R&S intra-muros mentre il 54,1% ha esternalizzato in via parziale o esclusiva tale attività, perlopiù affidandosi ad altre imprese o, in misura nettamente minore, a università e centri di ricerca.
  • I mercati di riferimento dei prodotti e servizi delle startup sono in gran parte le altre imprese italiane (71,8%); seguono, in ordine decrescente, i consumatori diretti italiani (49,5%), le imprese estere (41,5%), i consumatori di altri Paesi (31,2%) e, a una certa distanza, la Pubblica amministrazione italiana (28%) e di altri Paesi (11,1%).
  • Per quanto riguarda le strategie di protezione dell’innovazione, il 17,8% delle startup è titolare di una privativa industriale, il 12,8% depositario e il 9,2% licenziatario. Per contro, dalla rilevazione emerge anche come più della metà delle imprese (58%) non adotti alcun meccanismo formale di tutela della proprietà intellettuale (per esempio, brevettazione) e circa un quarto non persegua nemmeno strategie informali di protezione.