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Doping: l’altra faccia delle Olimpiadi

Dodici medaglie d’oro, 27 d’argento e 11 di bronzo. E‘ il conto delle medaglie olimpiche ritirate alla Russia, più di un terzo del totale a partire dal 1968. Il sistema di doping messo in piedi dalla Russia tra il 2011 e il 2015 è stato di tale portata da essere definito dall’Agenzia Mondiale Antidoping (AMA) “senza precedenti”, “sistemico” e centralizzato”. Oltre un migliaio di atleti ne hanno beneficiato, alterando le Olimpiadi di Pechino 2008, Londra 2012 e soprattutto quelle invernali di Sochi 2014. In tre Giochi olimpici, la Russia si è vista ritirare ben 40 medaglie. Il tutto, senza considerare i mondiali e gli europei di atletica e le diverse competizioni organizzate da ciascuna federazione sportiva. Insomma, un vero e proprio “programma di stato” commissionato e finanziato dal Cremlino stesso.

 

La coda di polemiche, esami e controesami, processi e appelli durerà per anni. E con le Olimpiadi invernali di Pyeongchang alle porte gli occhi sono tutti puntati su due soggetti: la Russia, naturalmente, e il Comitato Olimpico Internazionale (COI). Le polemiche hanno travolto anche quest’ultimo infatti, da molti giudicato troppo remissivo nei riguardi della nazione guidata da Vladimir Putin. Al Comitato olimpico russo è stata sì vietata la partecipazione ai Giochi in Corea del sud ma gli atleti giudicati puliti potranno gareggiare sotto la più neutrale bandiera olimpica e con l’indicazione “Atleti olimpici di Russia” sulle proprie divise. Il COI sta inoltre riflettendo sulla possibilità di lasciar partecipare la Russia alla cerimonia di chiusura con la propria bandiera. Non proprio una punizione esemplare, soprattutto se si considera che soltanto a un determinato numero di atleti russi fu vietata la partecipazione alle Olimpiadi di Rio de Janeiro nel 2016, e non alla Russia in quanto nazione.

 

 

 

Solo la Repubblica Federale Tedesca fu in grado di creare una macchina di doping ancor più imponente. Tra il 1956 e il 1988, la Germania Est collezionò 203 ori olimpici, 192 argenti e 177 bronzi per un Paese che contava appena 17 milioni di abitanti. Le stime dicono che oltre dieci mila atleti furono dopati, con e senza il loro consenso. Le dosi e i tipi di sostanze utilizzate erano tali che molte donne subirono processi di virilizzazione. Più di mille tra uomini e donne patirono danni fisici e psicologici permanenti.

 

Intanto, la classifica delle medaglie ritirate per violazioni antidoping è in divenire. La settimana scorsa, il Tribunale Arbitrale dello Sport (TAS) ha annullato la squalifica a vita a 28 atleti russi su 39, precedentemente commissionata dal COI per irregolarità avvenute a Sochi. Non è ancora chiaro se agli stessi atleti verranno riassegnate le medaglie. Altrettanto indecifrabile è il verdetto del TAS: “Non significa che questi 28 atleti siano innocenti”, ha affermato il Segretario Generale. Confermata, invece, la squalifica a vita per gli altri 11 la cui sentenza, secondo il COI, “conferma ancora una volta la manipolazione sistemica delle norme antidoping” durante le Olimpiadi di Sochi.