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economia

Pap test, Hpv test, mammografia: quanti screening abbiamo perso nel 2020?

A marzo e ad aprile 2020 lo stato di emergenza ci ha costretti a interrompere tutte le attività di screening di routine a livello nazionale: pap test e HPV test, mammografie e screening per il tumore del colon-retto. Da maggio però gli screening sono ripartiti, ma i ritardi non sono stati colmati, tranne in parte in alcune regioni, e il risultato è che si stima – stando alle medie degli anni precedenti – che siano state “perse” 2.383 diagnosi di lesioni pre-cancerose alla cervice, 2.793 alla mammella e 1.168 carcinomi e 6.667 adenomi avanzati al colon-retto.
Sono i dati che emergono dal secondo rapporto dell’Osservatorio Nazionale Screening (ONS), che copre i primi nove mesi del 2020, condotto attraverso una survey inviata da compilare alle regioni (non hanno risposto la Basilicata e 2 su 5 programmi della Calabria). La terza survey verrà avviata a gennaio 2021. Nel caso delle lesioni alla cervice e al colon, si tratta solitamente di lesioni precancerose (che è l’obiettivo de programmi di screening), e quindi – scrive il rapporto – i ritardi, se recuperati, non dovrebbero compromettere pesantemente lo stato di salute complessivo.

Ben oltre il 40% di prestazioni perse (oltre il 50% per il colon)
Nel primo rapporto dell’ONS venivano riportati i dati fino a maggio 2020, mentre ora si possono esaminare i due trimestri pandemici, fino a settembre 2020, e soprattutto questa volta sono stati presi in considerazione anche gli inviti o gli utenti contattati. Quando si analizzano i dati sullo screening bisogna infatti guardare due elementi: il numero di persone invitate (no, l’invito non arriva a tutti gli aventi diritto) e la percentuale di chi ha aderito. La pandemia ha agito su entrambi questi numeri: non solo su quello “strutturale” degli inviti, ma anche sulla propensione delle persone a presentarsi, fattore cruciale, dato che lo screening funziona su adesione. La propensione è stata misurata attraverso il rapporto fra la percentuale di diminuzione degli inviti e quella di esami effettuati.
Si stima (confrontando i dati 2019) che abbiamo perso il 40% degli inviti per lo screening del tumore alla cervice, sia come Pap test (con cadenza triennale) che HPV test (con cadenza quinquennale), a seconda delle regioni. Si tratta di oltre un milione di inviti persi (1.162.842). Anche la propensione alla partecipazione si è ridotta del 17%.

Il numero di persone esaminate in meno rispetto al 2019 è complessivamente 540.705, pari ad una riduzione del 48,8%.
Per quanto riguarda la mammografia nei primi nove mesi del 2020 si registra una riduzione rispetto all’anno precedente di più di 900.000 inviti (-947.322) pari al -34,5% per un totale di oltre 600.000 prestazioni in meno rispetto allo stesso periodo del 2019, pari ad una riduzione del 43,5%. rispetto al 2019, nel 2020 la propensione alla partecipazione si è ridotta relativamente del 21%.
Infine, si contano 2.000.000 di inviti (1.907.789) in meno rispetto all’anno precedente per lo screening dei tumori del colon-retto, pari al 42% di iriduzione del numero di inviti mandati. Il risultato è che sono quasi un milione in meno (967.465), le persone che hanno eseguito il test immunochimico fecale (FIT) detto anche “ricerca del sangue occulto nelle feci”, o la sigmoidoscopia flessibile (FS) nei primi 9 mesi del 2020 rispetto allo stesso periodo del 2019, con una riduzione del 52,7% (il Piemonte divide le statistiche dei due test). Questo significa che, rispetto al 2019, nel 2020 la propensione alla partecipazione si è ridotta relativamente del 20%.

I ritardi non recuperati
Che i ritardi non siano stati recuperati si nota dal momento che il periodo giugno-settembre non mostra percentuali diverse di partecipazione rispetto a quello precedente (che ricordiamo andava da gennaio a maggio). Nel caso dello screening alla cervice non emergono sostanziali differenze nei primi due periodi (-41,3% nei primi 5 mesi e -39,5% nel successivo periodo).
Il recupero degli screening non eseguiti ha seguito tempistiche, intensità e modalità diverse fra le varie Regioni e anche all’interno della stessa Regione. Il rapporto stima i mesi di ritardo per regione a seconda dello screening. Il numero che si trova nel grafico esprime il ritardo accumulato in “mesi standard”, cioè di numero di mesi di attività che sarebbero necessari per recuperare il ritardo accumulato se il programma andasse alla stessa velocità dell’anno precedente. Come se esaminassimo mediamente per mese lo stesso numero di persone osservato nel 2019.
Considerando l’intero periodo gennaio-settembre (nel grafico), è evidente che tutte le regioni hanno accumulato ritardo, ma con profonde differenze. In alcuni casi il ritardo supera ampiamente i sei mesi, come nel caso della Sardegna per lo screening cervicale e della Lombardia e della Liguria per lo screening colorettale. La media nazionale è poco più di quattro mesi.
Il ritardo continua ad accumularsi, anche se a velocità minore man mano che passano i mesi. Nel secondo periodo (giugno-settembre) si osserva un netto rallentamento nella diminuzione degli esami eseguiti: dal -55,1% del primo periodo al -39,3% del secondo periodo. Solo 4 Regioni (PA Bolzano, Molise, Calabria e Sardegna) nel secondo periodo hanno parzialmente recuperato il ritardo.
E prima della pandemia?
Recuperare un ritardo rispetto al 2019, non significa avere uno screening efficiente. Non è che prima della pandemia potessimo dirci contenti al 100%. Lo screening, specie nelle regioni del sud, è ancora un tabù in molti casi. Il Rapporto 2019  mostrava che nel 2018 solo il 54% delle donne invitate aderiva allo screening mammografico (il 38% al sud) il 39,6% allo screening cervicale (solo il 27,5% al sud) e solo il 42,3% delle persone aderiva allo screening colorettale (il 31% al sud).