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tecnologia

Scienza: in Italia solo il 46% delle ricerche è «open»

Cosa succede quando la scienza diventa open? E cosa spinge i ricercatori a rendere pubblici gli articoli scientifici nei quali presentano il risultato del loro lavoro? È da queste due domande che ha preso le mosse l’International survey of scientific authors (Issa), progetto curato per l’Ocse da Brunella Boselli e Fernando Galindo-Rueda.
Una ricerca che ha coinvolto oltre 6mila ricercatori che hanno risposto ad un questionario inviato via email alla fine del 2014. Con l’obiettivo di misurare la diffusione dell’open science, appunto la scelta di pubblicare liberamente i risultati delle ricerche. E il risultato è che tra il 50 ed il 55% delle pubblicazioni è disponibile in formato open entro tre o quattro anni dalla pubblicazione. Una scelta, quella dell’open access, più diffusa nelle economie emergenti.

 

In Indonesia si supera il 90%, in Thailandia l’80, in Turchia il 70%. E anche se ci si limita alle economie più mature, il primato spetta alla Corea del Sud con il 66%, seguita dal Brasile con il 64 e dalla Russia con il 61. In Italia, invece, appena il 46% delle ricerche sono pubblicate in formato aperto.

La tendenza alla pubblicazione in open access varia di molto anche a seconda del campo di ricerca. Gli articoli che si occupano di immunologia e microbiologia sono resi disponibili in questo formato in poco meno del 60% dei casi. Mentre solo un terzo delle ricerche in campo economico e nelle scienze dei materiali sono accessibili senza costi né restrizioni all’utilizzo.
C’è poi una conseguenza tutta interna al mondo scientifico. Le ricerche in open access hanno un impatto maggiore in termini di citazioni da parte di altri articoli. Un fenomeno che si osserva in particolar modo per quelli pubblicati attraverso un repository piuttosto che su una rivista.
Pubblicati i dati relativi a questa survey, i ricercatori dell’Ocse stanno già lavorando a Issa2. Ovvero a uno studio mirato a comprendere le dimensioni dell’utilizzo di tool digitali nella pratica scientifica e il loro impatto sulle diverse attività di ricerca. Si tratta, in particolare, di comprendere quanto il digitale stia permettendo una più profonda analisi dei dati a disposizione degli scienziati. La survey sarà lanciata nella seconda metà del 2017 e i risultati sono previsti entro il marzo 2018

Articolo integrale su nova.com

Ultimi commenti
  • Giampiero Girolomoni |

    Innegabile che diffusione degli articoli scientifici sia favorito dalla pubblicazione nelle riviste cosiddette “open access”, in cui cioè tutti hanno accesso all’intero contenuto dell’articolo e non solo all’abstract come per le riviste a cui è richiesto abbonamento. Il problema è che le riviste “open access” chiedono di solito parecchi denari per pubblicare gli articoli, che si aggira su 1,000-3,000 euro ad articolo, e questo limita di molto questa opzione.

  • Giampiero Girolomoni |

    Innegabile che diffusione degli articoli scientifici sia favorito dalla pubblicazione nelle riviste cosiddette “open access”, in cui cioè tutti hanno accesso all’intero contenuto dell’articolo e non solo all’abastract coem per le riviste a cui è richiesto abbonamento. Il problema è che le riviste “open access” chiedono di solito parecchi denari per pubblicare gli articoli, che si aggira su 1,000-3,000 euro ad articolo, e questo limita di molto questa opzione.

  • LUCATRAMIL |

    Se pubblichi una scoperta brevettabile, ti sei fregato la possibilità di brevettarla, perchè con la pubblicazione diviene arte nota. La brevettazione è progresso di un Paese perchè il titolare può concedere a terzi la licenza. Quindi, occhio a non istigare alla pubblicazione irrazionale perchè andrebbe a detrimento del nostro Paese.

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