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cronaca

Le donne in politica sono poche. Ma non c'entra la maternità

Una mamma non può fare il sindaco. Sono bastate queste parole di Guido Bertolaso, candidato di Forza Italia al Campidoglio, a scatenare una polemica che sta lacerando il centrodestra. E che hanno portato Giorgia Meloni, che ha annunciato la sua gravidanza durante l’ultima edizione del Family Day, a scegliere di correre sostenuta da Fratelli d’Italia e dalla Lega Nord. Polemiche a parte, le parole dell’ex capo della Protezione civile descrivono più che bene la realtà della politica non solo italiana, che lascia poco spazio alle donne. A prescindere che siano madri o meno e dall’età dei loro figli.

 
Lo dimostrano i dati raccolti da Open Polis nel rapporto “Trova l’intrusa”, titolo significativo per un rapporto che mappa la presenza femminile nelle istituzioni, da quelle locali fino ai parlamenti dei Paesi UE. Intanto l’Italia, dove tra governo, Camera e Senato è solo dalla metà degli anni Novanta che le donne hanno cominciato ad avere una presenza significativa. Fu Massimo D’Alema a portare a Palazzo Chigi una squadra composta per un quinto di donne. Dopo gli anni di Silvio Berlusconi, che dal punto di vista delle “quote rosa” riportò l’Italia indietro ai livelli dei primi anni Novanta, la percentuale femminile nell’esecutivo è tornata a salire, fino a toccare la piena parità all’insediamento del governo di Matteo Renzi. Mentre in Parlamento, fatto salvo le elezioni del 1987 che portarono a Montecitorio un 25% di deputate, l’incremento è stato lento ma costante, fino ai livelli attuali che vedono la presenza femminile attestarsi sopra il 30%.
 
Guardando alle regioni, la mappa dell’Italia è una macchia di leopardo: si passa dalla Campania, dove addirittura il 75% degli assessori è donna, al Molise, governato da soli maschietti. Quando sono nella stanza dei bottoni, le donne si occupano soprattutto di welfare e lavoro. Mentre il consiglio regionale più “rosa” è quello dell’Emilia Romagna, dove le elette raggiungono il 32%, all’incirca come in Parlamento.
 
Decisamente peggio, invece, nei comuni. Non c’è una città sopra i 300mila abitanti ad avere un sindaco donna, dato che rende ancora più interessante la sfida di Meloni. E sono solo quattro i capoluoghi di provincia a guida femminile: Alessandria, Ancora, Vercelli e Verbania. A parziale compensazione di questo, il fatto che le giunte delle più grandi città italiane siano composte al 41% da donne. Ma quando si tratta di indossare la fascia tricolore, per le signore è molto più semplice riuscire nei piccoli centri.
 
Fin qui l’Italia. E il resto dell’Unione Europea? Fatte salve Grecia, Ungheria e Slovacchia, nei cui gabinetti siedono solo uomini, le donne ci sono. Solo il 9% a Cipro, addirittura il 52% in Svezia. Ma c’è un dato comune a tutti i governi dell’UE: non c’è una signora ministro delle Finanze. In altre parole, sono solo i maschietti che stanno provando ad indicare la via d’uscita dalla crisi. E ciascuno può giudicare con quali risultati. Variegata la presenza nei parlamenti, si passa dal 10% di quello ungherese al 44% della Camera svedese, decisamente più consistente invece la percentuale di donne elette a Strasburgo: Austria, Lettonia, Estonia e Svezia arrivano alla parità tra i sessi, l’Irlanda addirittura ad una presenza femminile del 55%. E pure l’Italia fa meglio che a casa, con una pattuglia di europarlamentari donne che arriva al 38%. Ora manca solo una ministra delle finanze.