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economia

Il puzzle irrisolvibile: il denaro compra la felicità?

In omaggio al neo-premio Nobel per l’economia Angus Deaton che, tra i vari interessi di ricerca, ha dedicato molti studi, e soprattutto negli ultimi anni, alla relazione tra felicità e reddito, in questa infografica esploriamo un ricchissimo dataset liberamente disponibile online.  Si tratta del World Database of Happiness, progetto diretto dal professor Ruut Veenhoven, dell’Università di Rotterdam, tra gli editor fondatori del Journal of Happiness Studies.

Il dataset in questione contiene una mole di informazioni, per 190 paesi, su diverse dimensioni, con focus in particolare sulla felicità. In particolare, noi abbiamo preso in considerazione l’indicatore che, in letteratura, è noto come life satisfaction.

In sostanza, un campione di persone è sottoposto alla domanda: “In una scala 1-10, considerando ogni aspetto della tua vita, quanto ti senti felice?“. Si tratta di una misura di soddisfazione per la vita che cattura, in qualche modo, il livello più radicato (core) della nostra percezione di felicità.

Ora, la questione ben nota agli economisti è: esiste una relazione lineare tra reddito e felicità?

In teoria, più soldi io guadagno e più dovrei essere felice. Le cose, però, non sono così semplici. Scansiamo subito ogni dubbio: i risultati più recenti mostrano che il denaro è una componente fondamentale della nostra felicità. Il fatto è che, oltre una certa soglia di accesso ai beni materiali, ogni euro in più guadagnato non si traduce necessariamente in una extra-unità di felicità.

I grafici seguenti mostrano, per i due decenni 1990-2000 e 2000-2010, la relazione tra l’indicatore di felicità e, rispettivamente, il tasso di crescita del PIL e il livello medio di reddito pro-capite.

Reddito medio e felicità (1-10) negli anni ’90
Reddito medio e felicità (1-10): 2000-2010
Felicità (1-10) e tasso di crescita dell’economia negli anni ’90
Felicità (1-10) e tasso di crescita: 2000-2010
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Come è possibile osservare , soprattutto nei grafici sul reddito medio, la relazione tra le due dimensioni non è lineare. Anzi, appare quasi quadratica, a dire appunto che c’è una soglia critica oltre la quale il rapporto tra denaro e felicità si fa più complesso e non facilmente interpretabile.

Le spiegazioni proposte sono diverse: una di essere fa riferimento al confronto interpersonale. Le persone non valutano, infatti, la propria felicità rispetto a un valore assoluto. Facciamo un esempio e partiamo da due scenari: in uno Gastone guadagna 50 mila euro di stipendio annuo; nell’altro Mainagioia ne guadagna 60 mila. Chiunque preferirebbe trovarsi nella condizione di Mainagioia.

Eppure supponiamo che quest’ultimo, nel suo ufficio, sia la persona con la retribuzione più bassa, mentre Gastone è il più pagato del suo team: in quale dei due scenari vi sentireste più felici?

Un’altra spiegazione ricorrente riguarda i beni relazionali, perché le persone, per guadagnare, devono lavorare di più. Lavorare di più, tuttavia, significa avere meno tempo per la propria vita sociale: che si tratti del tempo trascorso con il proprio partner, con gli amici o con i figli. Ecco dunque, anche qui, un effetto soglia: oltre un certo limite, più denaro potrebbe non tradursi in maggiore felicità.

La questione è spinosa e interessa da decenni economisti, sociologi e altri scienziati sociali: quello che appare chiaro, di  nuovo, è la non linearità di una relazione complessa. E chiudiamo, allora, sempre con un’elaborazione del dataset di Veenhoven, che mostra la correlazione (perché di questo si tratta) tra litri di alcool bevuti e felicità negli anni ’90 (per cui i dati sono disponibili). Qui sembra esserci una maggiore corrispondenza: beviamoci su!