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economia

Alberghi e B&B, il turismo ombra doppia quello ufficiale


Alberghi, pensioni, bed and breakfast, alloggi in affitto e case vacanza: in Italia ormai le strutture che potenzialmente sfuggono alle classificazioni ufficiali – ed entrano di diritto in un’area grigia al confine tra elusione/evasione fiscale e illegalità – sono il doppio di quelle regolarmente censite. Rapporto di forza eclatante, che emerge da un confronto inedito effettuato da Federalberghi, l’associazione degli albergatori di Confcommercio, su richiesta del Sole 24 Ore.

Sono state messe a confronto le strutture censite dall’Istat al 10 dicembre nelle quattro principali città italiane (Roma, Firenze, Milano e Napoli) e il vasto mondo di offerte di ospitalità su Tripadvisor, il portale di viaggi presente in 34 Paesi (Cina inclusa) con oltre 260 milioni di visitatori unici e 200 milioni di recensioni e opinioni relative a quasi 4 milioni fra strutture, ristoranti e attrazioniEd ecco la sorpresa: l’Istat complessivamente rileva 7.606 esercizi tra alberghi, pensioni, B&B, alloggi in affitto e case vacanza, su Tripadvisor ne risultano ben 15.396. Il saldo è di ben 7.790 esercizi non censiti.

Dall’esame delle singole realtà emerge che a Roma, a fronte delle 5.518 strutture note all’Istat, ben 9.740 compaiono su Tripadvisor. Anche a Milano il rapporto è circa il doppio con 772 regolarmente registrate e 1.448 operative sul portale di viaggi. A Napoli sono 445 gli esercizi conteggiati dall’Istat contro i 956 su Tripadvisor. Addirittura a Firenze l’offerta sul portale è quattro volte quella “certificata”: 3.252 contro 871.

Tripadvisor è solo una delle possibili cartine di tornasole di un fenomeno complesso e globale: l’offerta di alloggi da parte di privati che grazie al web hanno avviato delle attività economiche. Per definirlo si può parlare di sharing economy o shadow economy, a seconda che ne si metta in luce l’impostazione collaborativa piuttosto che l’aspetto, non secondario, di distorsione della concorrenza a danno di operatori obbligati, lavorando alla luce del sole, a pagare tasse e stipendi.

All’espansione di questo mercato contribuiscono le piattaforme di prenotazione online che hanno innovato e rivoluzionato il panorama dell’offerta turistica: dalla californiana AirBnB, al gruppo Home Away, a Windows on Europe (di cui fanno parte ben 12 marchi, fra cui Halldis e  Home ltd). Ai ricavi milionari dei player globali fa riscontro la nascita, ovviamente anche in Italia, di migliaia di attività private che proprio per numero e capillarità sfuggono ai controlli delle Regioni, competenti in materia di attività turistiche, e del Fisco.

Il Parlamento, con i tempi non propriamente celeri che lo contraddistinguono, è al lavoro sulla definizione di una disciplina organica del regime fiscale delle locazioni brevi. Federalberghi, principale organizzazione imprenditoriale del settore turistico-ricettivo, con 27mila strutture su 33mila, spinge da mesi per la concretizzazione di due ordini del giorno approvati dal Senato e una risoluzione approvata dalla Camera la cui sostanza è: regole uguali per tutti (anche in materia di sicurezza), in mancanza di partita Iva tasse trattenute alla fonte dai portali.

“In Italia – ha scritto in un comunicato-appello lo scorso 26 novembre l’organizzazione guidata da Bernabò Bocca – gli esercizi ricettivi regolari ospitano ogni anno circa 103 milioni di turisti, tra italiani e stranieri, per 360 milioni di pernottamenti, e danno lavoro a più di 230mila lavoratori. Non esistono cifre ufficiali che censiscano i flussi in strutture abusive e semiabusive, ma possiamo stimare che il fenomeno valga almeno 100 milioni di pernottamenti all’anno e bruci la possibilità di creare 70mila nuovi posti di lavoro”. Con i sindacati, Federalberghi ha ufficialmente chiesto al governo che le attività non censite “siano soggette ad un efficace sistema di controlli”.

“In teoria – spiega al Sole 24 Ore il direttore generale di Federalberghi, Alessandro Nucara – anche in Italia ci sarebbero delle regole, che però vengono sistematicamente aggirate”.

Esempi concreti?

“Il titolare del bed and breakfast – elenca Nucara – dovrebbe risiedere all’interno dell’appartamento: com’è possibile che qualcuno ne gestisca tre o anche di più? Poi, sopra i 5mila euro ci sarebbe anche l’obbligo di aprire la partita Iva. Inoltre, tutti gli esercizi commerciali sono obbligati ad avere il Pos, ma gli appartamenti che si vendono sul web incassano in nero praticamente indisturbati. Infine, trattandosi teoricamente di abitazioni private, la polizia locale e gli altri organi di vigilanza non possono accedere per svolgere i normali controlli sulla regolarità amministrativa e sul rispetto, per dire, delle regole di igiene”.

Da Berlino a Parigi, da Barcellona a New York, si sono moltiplicate le iniziative per regolamentare e imbrigliare un’onda di piena che ha accentuato la polverizzazione dell’offerta. “Questa è un altro aspetto su cui vale la pena interrogarsi – spiega Nucara -. Abbiamo passato anni ad autoflagellarci sulla dimensione media degli alberghi e oggi ci troviamo di fronte a una vera e propria esplosione del nanismo ricettivo”.

Dal confronto con i nostri principali concorrenti europei (Francia, Spagna, Gran Bretagna, Germania) si rileva come la principale differenza con l’Italia non risieda nel numero dei clienti ma nella dimensione media delle strutture e nella consistenza dell’offerta (in Italia offriamo molte più camere).

Ne deriva una redditività più bassa, che a sua volta genera una minore capacità di investire. Al contrario il mercato turistico italiano avrebbe bisogno di ridurre il numero di camere aumentando la dimensione media. Sforzo che le strutture alberghiere stanno, lentamente, compiendo: negli ultimi dieci anni gli hotel a 3, 4 e 5 stelle sono passati dal 71,6% all’88% e la dimensione media è passata da 59 a 66 letti per hotel.
Ecco il confronto con i principali Paesi europei: